Sono almeno 135 milioni i dollari che verranno stanziati per l’Adaptation Fund, il fondo che aiuta i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici: è questo quanto annunciato all’inizio della seconda settimana della Cop30 di Belém, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si chiuderà venerdì 21 novembre. Tra i contributori ci sono Germania (69 milioni di dollari), Spagna (23), Svezia (13), Irlanda (11), Lussemburgo (5), Svizzera (5), la Vallonia del Belgio (3), Portogallo (1), Corea del Sud (0,8) e Islanda (0,6). Non c’è l’Italia, come del resto accade da qualche anno: il nostro Paese non contribuisce al Fondo per l’adattamento dal 2021.
“Siamo molto grati per i nuovi impegni e speriamo che ne seguano altri – ha detto Washington Zhakata, vicepresidente del Consiglio di amministrazione del Fondo -. Il Fondo di adattamento è un ottimo investimento per il nostro futuro collettivo. Da 18 anni aiuta i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi e a rafforzare la loro resilienza finanziando progetti concreti, scalabili e radicati a livello locale. Questo ci aiuterà a raggiungere le comunità più vulnerabili che ne hanno maggiormente bisogno”.
Il Fondo per l’adattamento era stato istituito nel 2010 con l’obiettivo di finanziare progetti di adattamento al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto. La mobilitazione delle risorse è fondamentale perché il Fondo punta a raccogliere almeno 300 milioni di dollari entro il 2025, con l’obiettivo di triplicare i flussi in uscita entro il 2030: obiettivo che resta molto lontano visto il quantitativo di investimenti deciso in queste ore. A oggi, il Fondo ha stanziato 1,5 miliardi di dollari per oltre 200 progetti in 108 Paesi, ha fornito sostegno a oltre 65 milioni di persone, ha protetto quasi 1 milione di ettari di habitat naturale e ha creato oltre 600 sistemi di allerta rapida. Il Fondo ha inoltre aperto la strada all’accesso diretto, rafforzando la titolarità dei Paesi in materia di adattamento e potenziando l’innovazione guidata a livello locale.
Ma questo non basta. Le Least developed countries (Ldc), commentando l’accordo, hanno chiesto di più, sostenendo che il possibile accordo sull’adattamento per far fronte alla crisi climatica si sta sciogliendo. “I nostri Paesi – ha detto la negoziatrice del Sudan Lina Yassin – contribuiscono a meno dell’1% delle emissioni globali, eppure siamo i più colpiti dagli impatti climatici”. Ha continuato sulla stessa linea Aichetou Seck, negoziatore del Senegal: “Il rapporto sul divario nell’adattamento alla crisi climatica indica che le esigenze dei Paesi in via di sviluppo sono ora 12 volte superiori al livello attuale di sostegno internazionale”.
“Il dibattito e i finanziamenti – ha commentato il negoziatore della Mauritania Abderrahmane Sidi El Moctar – si sono concentrati sulla mitigazione della crisi climatica, lasciando l’adattamento indietro. Anche se tutti gli obiettivi di mitigazione venissero raggiunti, arriverebbero troppo tardi per molte comunità che hanno bisogno di finanziamenti per l’adattamento ora, non tra anni”. Secondo Daniele Violetti, direttore senior del coordinamento dei programmi presso l’UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, i flussi finanziari di adattamento sono solo una frazione di ciò che è necessario: “Rendere il finanziamento un flusso prevedibile e affidabile a lungo termine è fondamentale per la pianificazione”.











