Crisi climatica e transizione ecologica, intervista al meteoclimatologo Claudio Cassardo

Alla vigilia di Circonomia, il festival dedicato all’economia circolare e transizione ecologica, arrivato quest'anno alla sua decima edizione in programma ad Alba dal 22 al 24 maggio, abbiamo intervistato Claudio Cassardo, meteoclimatologo e docente di Fisica dell'Atmosfera all'Università di Torino, che interverrà alla manifestazione. Abbiamo parlato della crisi climatica in atto, di come investe le città italiane, soprattutto con ondate di calore e alluvioni, e delle principali contromisure che hanno gli ambienti urbani per difendersi

Circonomia, il festival dedicato all’economia circolare e transizione ecologica, torna anche quest’anno per la sua decima edizione, in programma ad Alba dal 22 al 24 maggio. Tre giornate ricche di appuntamenti con numerosi studiosi ed esperti di ambiente, clima, biodiversità. L’evento, promosso da Cooperativa Erica, Aica e Gmi, quest’anno ospita tra gli altri anche Claudio Cassardo, meteoclimatologo e docente di Fisica dell’Atmosfera all’Università di Torino. Alla vigilia del festival lo abbiamo intervistato sulla crisi climatica in corso, sui suoi effetti nelle città e sulle possibili misure di contrasto.

Professor Cassardo, fenomeni come inondazioni, uragani, tornado, ma anche ondate di calore e forme di siccità estrema si verificano nel mondo ad un ritmo serrato. L’aumento progressivo della frequenza ma anche dell’intensità di questi eventi meteorologici estremi è ormai certo per la scienza?

Purtroppo si. È quello che emerge dall’analisi delle simulazioni condotte con gli Earth System Models, ovvero i modelli sulle cui uscite si basano le proiezioni climatiche. L’ampiezza di questo aumento dipenderà, sul lungo termine, nella seconda metà del secolo, dagli scenari di emissione, vale a dire da quanti gas serra verranno immessi nell’atmosfera. Mentre nel breve termine, i prossimi 20-25 anni circa, l’aumento sarà minore, ma non trascurabile, e pressoché indipendente dagli scenari di emissione. Vorrei sottolineare che questo tipo di variazioni va inteso in senso climatico. Si può parlare di clima prendendo in esame periodi della durata di almeno trent’anni, e quindi, quando si parla di ‘aumento progressivo’, non si deve intendere che ogni anno avremo più eventi estremi rispetto al precedente, ma che, confrontando il trentennio 2021-2050 con il trentennio 1991-2020, si noterà un incremento nel numero e nell’intensità degli eventi estremi. Così come anche il trentennio 1991-2020 aveva visto un aumento degli eventi estremi, se paragonato al trentennio 1961-1990.

Tra gli effetti peggiori della crisi climatica ci sono alluvioni devastanti e ondate di calore lunghe e intensissime, con notevoli impatti sulla salute pubblica e sull’integrità dei territori. Le città italiane a quale dei due rischi sono maggiormente soggette?

La risposta dipende molto dalla tipologia delle città, da come sono costruite, dal contesto territoriale che le ospita e dalle scelte delle amministrazioni nei confronti della pianificazione urbano. In linea di massima, tutte le nostre città di pianura risentono delle ondate di calore. Queste sono più intense nelle zone urbane più estese e densamente popolate, per via della maggiore cementificazione dovuta a strade e residenze, che acuisce il surriscaldamento diurno e limita il raffrescamento notturno, e anche per via della scarsissima evapotraspirazione. In questo senso, le città con maggiori densità di verde pubblico sono soggette a temperature meno estreme. La vicinanza a montagne o colline, o al mare, sono altri fattori mitiganti, per via delle brezze notturne che possono ridurre le temperature e rimuovere l’umidità.

Per quanto riguarda, invece, le precipitazioni intense e le eventuali alluvioni associate, così come anche le manifestazioni di dissesto idrogeologico, i fattori di rischio sono molto legati al contesto territoriale in cui si trova la città stessa. Per fare qualche esempio, la vicinanza ad alture o ad alvei torrentizi – è il caso della maggioranza del territorio abitato della Liguria, ad esempio, così come di molti centri abitati in aree di bassa montagna – sono fattori di rischio molto alti, legati anche all’ampiezza dei bacini che possono raccogliere le piogge intense e convogliarne le acque in tempi brevissimi lungo il corso dei torrenti o fiumi. Anche i centri abitati posti nei pressi di corsi d’acqua, o della confluenza di diversi corsi d’acqua, che nel passato sono esondati più volte in quei punti, hanno fattori di rischio decisamente maggiori. In questo elenco figurano anche i centri abitati della pianura padana che sorgono nei pressi dei corsi d’acqua di fiumi divenuti, nel tempo, letti pensili in quanto sollevatisi nel tempo rispetto al territorio circostante.

Quello che va compreso è che questo tipo di rischio può essere anche molto locale e indipendente dall’estensione del centro abitato, e non è sempre desumibile dall’analisi degli eventi passati, in quanto gli eventi stessi si stanno intensificando e questa crescita può portare al superamento delle soglie di rischio che, magari, non erano ancora state superate nel passato. Quindi, in conclusione, dal mio punto di vista, pur non trascurando i rischi legati alle ondate di calore, direi che quelli legati agli eventi estremi rappresentano la minaccia maggiore per i nostri centri abitati.

Quali contromisure si possono adottare nell’immediato per affrontare questi rischi?

La prima contromisura, che può portare ad una riduzione significativa almeno delle vittime, è rappresentata dal miglioramento della catena di comunicazione della gravità dell’evento in atto, e dall’educazione della popolazione ad affrontare il tipo di emergenza più tipico nella zona in cui vive. L’episodio accaduto a Valencia nello scorso autunno, in questo senso, è illuminante: molte vittime erano ignare di quanto stava accadendo. Se fossero state informate, certo questo non avrebbe diminuito le portate dei fiumi né diminuito l’estensione delle aree alluvionate, ma quanto meno avrebbe potuto ridurre, anche di molto, il numero delle vittime e probabilmente in parte anche i danni. Entrambe queste azioni possono essere messe in campo nell’immediato, e in realtà in Italia in parte già lo sono, grazie all’operato pluriennale della Protezione Civile. Penso, ad esempio, alla campagna “Io non rischio”. Tuttavia è noto che l’educazione richiede tempi non brevissimi, e quindi sono convinto del fatto che sia necessario intensificare e diversificare questo tipo di azioni per raggiungere un numero sempre maggiore di persone. Questo eviterebbe anche la diffusione, ormai quasi sistematica ad ogni evento estremo, di fake news scientificamente ridicole, a cui, ahimé, non sono immuni neppure alcuni decisori politici, come quelle che gli allagamenti urbani siano causati dalla mancata pulizia dei tombini, o che dragare gli alvei elimini i rischi di fuoriuscita di fiumi o torrenti. Sono solo due esempi tra i tanti.

E quali le contromisure a medio-lungo termine?

Su tempi maggiori si può, invece, ragionare su quali opere sia possibile eseguire per diminuire i rischi da eventi pluviometrici estremi e da ondate di calore. Personalmente ritengo che siano meno onerose le opere per la riduzione dei rischi da ondate di calore. Infatti, per i rischi da caldo, le opere possono comprendere la ristrutturazione delle abitazioni e una risistemazione del verde pubblico, con la creazione di molte aree verdi. Invece, le opere per ridurre i rischi derivanti dalle precipitazioni estreme sono decisamente maggiori, in quanto comunque si deve partire dal principio che, in caso di un evento estremo che accade coinvolgendo un determinato bacino fluviale, l’acqua di scarico non può che defluire lungo il corso d’acqua principale, per cui diventa molto complicato limitare i flussi in tali situazioni, o fare in modo che eventuali centri urbani lungo il corso d’acqua non risentano di tali flussi. Inoltre, questo tipo di opere va valutato molto attentamente studiando meticolosamente la situazione locale, in modo da pianificare gli interventi che siano in grado di dare la protezione maggiore.

Quest’anno lei sarà ospite alla decima edizione di Circonomia, quale messaggio porterà e quali sono i temi più urgenti da affrontare in un Festival dedicato a economia circolare e transizione ecologica?

Sono un meteoclimatologo e lo scopo delle molte ore che dedico alla divulgazione – in generale – è quello di far conoscere i complicati e controversi aspetti di queste due scienze, meteorologia e clima, cercando di spiegare le cose in modo da farle capire. In particolare, per quanto riguarda il clima, il mio scopo è quello di far capire che, nonostante il cambiamento climatico abbia portato nell’ultimo mezzo secolo ad un incremento termico di circa 1 °C nel mondo e 2 °C in Italia, questi numeri apparentemente piccoli costituiscano in realtà una variazione molto grande per il mondo in cui viviamo. Con impatti significativi che, se proseguissero ulteriormente, potrebbero alterare in senso negativo anche la qualità della nostra vita. So che questo messaggio non è positivo, purtroppo, ma ritengo che comunque sia molto meglio essere informati dei rischi a cui si va incontro, piuttosto che proseguire ignari. Anche perché, in qualche modo, alcuni dei rischi sono quantificabili, almeno in senso climatico, e quindi conoscendoli è possibile porvi rimedio, o quanto meno iniziare a pensare e studiare come porvi rimedio in tempi brevi. Come dice un noto proverbio: uomo avvisato, mezzo salvato.

Più specificamente, nel contesto di questo festival, quanto appena detto qui sopra assume un significato particolare. È indubbio che il problema del cambiamento climatico sia figlio della nostra epoca e sia legato al nostro stile di vita, che ci porta ad un uso molto smodato delle risorse di vario tipo disponibili sul pianeta su cui viviamo. Lo stile di vita è andato sviluppandosi a partire dalla rivoluzione petrolifera, che ha portato risorse energetiche, idriche e alimentari sempre più disponibili e a basso costo, quanto meno per la parte ricca degli abitanti del pianeta, portando anche ad un boom nella numerosità di noi esseri umani. Il miglioramento economico e della qualità della vita che ne è conseguito ha portato a minimizzare i problemi legati all’aumento dei rifiuti, al degrado dell’ambiente e degli ecosistemi.

Ora però alcuni nodi stanno venendo al pettine e anche l’economia, o quanto meno una sua parte, sta iniziando a rendersi conto di quanto questo stile di vita sia insostenibile sul lungo termine. Ecco quindi che opzioni quali l’economia circolare e la transizione ecologica diventano tappe quasi obbligate da percorrere se si vogliono ridurre le emissioni, opzione fondamentale per chi si augura che i nostri figli e nipoti vivano un clima in qualche modo somigliante a quello vissuto da noi. Anche se, inevitabilmente, più caldo e con più eventi estremi intensi. Tuttavia, soltanto quando la maggioranza delle persone si renderà conto e diverrà consapevole di queste problematiche, si raggiungerà la massa critica sufficiente per poter spingere anche la politica ad intraprendere misure più stringenti, atte a limitare le conseguenze e gli impatti del cambiamento del clima. Sperando che non sia troppo tardi…

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