Direttiva Case green, nessun recepimento in CdM, cresce il rischio infrazione per l’Italia

Il Governo non include nella legge di delegazione europea la direttiva EPBD sull’efficienza energetica degli edifici. Le principali associazioni ambientaliste segnalano il rischio di ritardi strutturali, impatti negativi su clima, occupazione e bollette, e un’eventuale procedura d’infrazione. L’Italia è chiamata ad adeguarsi entro il 2025, ma rimane indietro su decarbonizzazione e riqualificazione edilizia

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Nel corso dell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri, non è stato inserito il recepimento della direttiva EPBD, nota anche come “Case green”, all’interno della legge di delegazione europea. Si tratta di un nuovo rinvio che, secondo le principali associazioni ambientaliste, potrebbe compromettere gli obiettivi climatici europei e rallentare il processo di transizione energetica nel settore edilizio.

A esprimere preoccupazione sono Arse, Coordinamento FREE, Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente e WWF, che hanno sottolineato come l’assenza di questa misura rischi di tradursi in ulteriori ritardi nel percorso di riqualificazione del patrimonio edilizio nazionale, in un rallentamento delle azioni per contrastare la povertà energetica, oltre che nella mancata riduzione delle emissioni legate al comparto residenziale.

La direttiva EPBD, recentemente approvata in sede europea, prevede l’attuazione di un primo piano nazionale entro dicembre 2025, con una versione definitiva entro maggio 2026. Il mancato avvio del recepimento in Italia apre ora la possibilità a una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea, in quanto lo Stato membro non rispetterebbe i termini fissati.

Le associazioni ricordano che la misura è pensata per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e ridurre il consumo di combustibili fossili, in particolare il gas. La mancata attuazione della direttiva lascerebbe famiglie e imprese esposte a costi energetici elevati e ritarderebbe il processo di decarbonizzazione del comparto edilizio, che oggi rappresenta una quota rilevante delle emissioni complessive di CO₂.

Secondo le stime, in Italia sono oltre 9,7 milioni gli edifici in classe energetica E, F o G, pari a circa il 75% del patrimonio residenziale. La loro riqualificazione potrebbe generare una riduzione delle emissioni superiori a 14 milioni di tonnellate di CO₂. La direttiva stabilisce inoltre che, entro il 2030, si dovrà ottenere una riduzione dei consumi energetici del 16%, e del 20-22% entro il 2035, coinvolgendo prioritariamente il 44% degli immobili nelle classi peggiori.

Le organizzazioni firmatarie ribadiscono che la direttiva è parte integrante della strategia europea per il clima e non può essere rinviata senza conseguenze. L’Italia, affermano, dovrebbe assumere un ruolo proattivo, accelerando l’adozione di un piano nazionale per la riqualificazione energetica e definendo con chiarezza le linee guida per interventi di ristrutturazione e rigenerazione urbana.

Viene infine richiamato anche il contesto giuridico internazionale: la Corte Internazionale di Giustizia ha chiarito gli obblighi climatici degli Stati e delle imprese, mentre in Italia, con l’ordinanza della Cassazione relativa al caso Greenpeace e ReCommon, si apre la possibilità di chiedere giustizia climatica nei confronti delle realtà più inquinanti.

Le associazioni concludono chiedendo al Governo un cambio di rotta per non compromettere gli impegni presi con l’Europa, la sostenibilità economica delle famiglie e le opportunità occupazionali legate al comparto edilizio.

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