La mobilità sostenibile nelle città italiane è sinonimo di disuguaglianza

Otto città, un’unica fotografia: la mobilità sostenibile in Italia è ancora una questione di disuguaglianza territoriale e sociale. È questo il messaggio centrale che emerge dalla serie di report “ZTL – Zone a Transizione Limitata”, realizzata da Kyoto Club e Clean Cities Campaign Italia, nell’ambito delle attività dell’Osservatorio Mobilità Urbana Sostenibile.

Gli studi – dedicati a Bari, Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma e Torino – analizzano per la prima volta gli indicatori di mobilità sostenibile a scala sub-comunale, utilizzando come unità di riferimento i Codici di Avviamento Postale (CAP). L’obiettivo è misurare l’equità urbana della mobilità e individuare le aree dove la transizione ecologica procede più lentamente.

Nei report ZTL, l’indice di mobilità sostenibile è un indicatore sintetico calcolato combinando dodici variabili riferite a ciclabilità, pedonalità, motorizzazione privata (totale e più inquinante) e trasporto pubblico (diffusione e intensità), ognuna rapportata sia alla popolazione sia all’estensione territoriale delle singole zone CAP.

La metodologia incrociando dati su: trasporto pubblico, ovvero numero fermate (diffusione tpl) e numero corse (intensità); ciclabilità (km di piste ciclabili) e pedonalità (metri quadri di aree pedonali); livelli di motorizzazione privata e motorizzazione privata più inquinante (auto fino a Euro4); reddito medio e densità abitativa. Per alcune città sono disponibili anche dati relativi alla mobilità condivisa, alla percorrenza delle auto e alla qualità dell’aria.

Ogni indicatore viene normalizzato su una scala da 0 a 100, dove 0 corrisponde alla performance peggiore e 100 alla migliore rilevata nelle zone CAP. In questo modo il valore finale dell’indice non rappresenta una misura assoluta, ma una posizione relativa delle varie zone CAP rispetto alle altre in ciascuna città analizzata, consentendo di evidenziare punti di forza e ritardi di ciascun sistema urbano in termini di sostenibilità della mobilità. L’approccio è replicabile in tutte le città italiane e permette di mappare i divari spaziali della transizione ecologica.

Città a due velocità: i dati

Dai rapporti delle otto città emerge una costante: i centri urbani più ricchi coincidono con le aree più accessibili e servite dal trasporto pubblico, mentre le periferie restano dipendenti dall’auto privata e penalizzate da infrastrutture carenti. In tutte le città analizzate il gradiente centro-periferia resta il principale fattore di esclusione: le aree più povere coincidono con quelle più inquinate e meno servite dal trasporto pubblico.

Dai risultati dei rapporti emergono alcune priorità strategiche condivise: riequilibrare gli investimenti verso le periferie urbane, portando lì il trasporto pubblico rapido e la mobilità attiva; rendere accessibile economicamente il TPL, con abbonamenti sociali e tariffe integrate; aumentare lo spazio per pedoni e ciclisti, riducendo il dominio dell’auto privata;

“La transizione non è solo tecnologica, è sociale”

“La mobilità sostenibile non è un tema tecnico, ma politico e sociale. Dove non arrivano autobus, tram e piste ciclabili, crescono disuguaglianza, isolamento e inquinamento. La transizione ecologica deve essere una transizione giusta”, dichiara Claudio Magliulo, coordinatore della Clean Cities Campaign Italia.

“Le città italiane hanno compiuto passi importanti, ma la distanza tra centro e periferia resta enorme. Servono politiche redistributive, fondi strutturali e un Fondo Nazionale Trasporti finalmente stabile e adeguato”, aggiunge Marco Talluri, Gruppo di Lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club.

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