Il crollo del sistema di scambio delle emissioni in Italia, imprese in difficoltà

Il Sistema di Scambio delle Emissioni (ETS) è uno strumento determinante per diminuire i gas serra, perché attraverso l'assegnazione e lo scambio di permessi di emissione ne consente una riduzione progressiva efficiente e sostenibile dal punto di vista economico. In Italia l’ETS è stato adottato sin dal suo avvio nel 2005 con buoni risultati: oggi però i 216 milioni di permessi disponibili all'inizio sono precipitati ai circa 83 milioni del 2024

Il Sistema di Scambio delle Emissioni (ETS) è uno strumento determinante per diminuire le emissioni di gas serra, perché attraverso l’assegnazione e lo scambio di permessi di emissione ne consente una riduzione progressiva efficiente e sostenibile dal punto di vista economico. In Italia l’ETS è stato adottato sin dal suo avvio nel 2005 con buoni risultati: oggi però – a causa della progressiva riduzione delle quote assegnate – i 216 milioni di permessi disponibili all’inizio, che coprivano ampiamente le emissioni verificate delle aziende, sono precipitati ai circa 83 milioni del 2024. Le imprese si sono quindi trovate in difficoltà, con la necessità di ricorrere maggiormente al mercato per acquistare permessi aggiuntivi oppure di cercare soluzioni tecnologiche più efficienti per ridurre la propria CO2, secondo criteri di economicità.

La fotografia del fenomeno è contenuta nel Carbon Market Outlook 2025, redatto dell’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano e presentato oggi insieme alle aziende partner della ricerca. “La continua evoluzione del mercato, l’ampliamento delle sue normative e l’introduzione di nuovi settori, come quello marittimo dal 2024, stanno cambiando profondamente il panorama del carbon pricing e delle politiche climatiche in Italia – commenta Davide Chiaroni, vicedirettore di E&S e responsabile della ricerca -. Negli anni, le emissioni di CO2 nel Paese sono considerevolmente diminuite: quelle in ambito ETS sono passate da 226 milioni di tonnellate nel 2005 a circa 115 milioni nel 2024 (-49%). Ora però il sistema affronta sfide legate alla gestione di un numero crescente di partecipanti e alla continua pressione per una maggiore riduzione delle emissioni”.

Le cose infatti stanno cambiando anche a livello di settori coperti: a partire dall’anno scorso, l’ingresso del comparto marittimo nell’ETS ha ampliato il numero di impianti monitorati e ha contribuito a una maggiore efficienza del sistema. È anche cresciuta l’attenzione agli aspetti sociali, come dimostrato dalla creazione del Social Climate Fund, che destina una parte dei ricavi delle aste alla transizione sociale.
Parallelamente, il sistema dei crediti di CO2 continua a svolgere un ruolo fondamentale a livello globale, poiché è generato da progetti che riducono, evitano o rimuovono l’emissione di gas serra, come la riforestazione o l’adozione di tecnologie a basse emissioni.  La domanda in crescita ha creato un mercato sempre più integrato, con la possibilità per le imprese di scegliere tra l’acquisto di permessi di emissione tradizionali e i crediti derivati da azioni di compensazione, e ciò sta favorendo il ritorno dei crediti di CO2 all’interno del sistema ETS italiano e dell’UE, grazie anche all’integrazione di meccanismi di carbon pricing più forti a livello globale che aumentano il valore e la domanda di crediti di carbonio.

L’adozione sempre più diffusa di crediti internazionali attraverso meccanismi ETS diversi da quello europeo, come quelli della California o dell’Australia, ha infatti posto in evidenza il potenziale di crescita del mercato. Inoltre, le politiche mondiali di carbon pricing, unitamente a strumenti come il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM), stanno incentivando le aziende a utilizzare crediti di carbonio per bilanciare le loro emissioni, non solo per soddisfare gli obblighi normativi, ma anche come strumento strategico.

“Occorre però fare attenzione – spiega Chiaroni -: se da un lato il ritorno in Italia e in Europa dei crediti di CO2 potrebbe generare vantaggi significativi in termini di flessibilità ed efficacia, dall’altro è necessario monitorare gli impatti economici e sociali di un’ulteriore espansione del mercato. L’aumento dei prezzi dei crediti potrebbe fare crescere il costo delle politiche ambientali per le aziende e influenzare la competitività di alcuni settori. È quindi cruciale sviluppare politiche che evitino squilibri o speculazioni in grado di mettere a rischio gli obiettivi climatici, garantendo che la transizione avvenga in modo sostenibile ed equo.”.

Il mercato italiano rimane ancora fortemente dipendente dalle aste dei permessi di emissione, che hanno visto un aumento significativo delle entrate negli ultimi anni, arrivando a 2,6 miliardi di euro nel 2024 (circa il 10,5% dei proventi andati ai Paesi UE, pari a 24,6 miliardi su un totale di 38,8 miliardi di ricavi complessivi). Il valore cumulato dal 2013 al 2024 è all’incirca di 226 miliardi di euro (in realtà, il 2024 ha visto un calo a livello europeo dal 2023, passando da 43,6 a 38,8 miliardi) ed è stato utilizzato in gran parte per finanziare progetti legati alla decarbonizzazione e per supportare la transizione energetica in vari settori. La destinazione di una parte dei proventi alle politiche climatiche e sociali è dunque un elemento cruciale per garantire una transizione giusta, capace di supportare anche le fasce della popolazione più vulnerabili.

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