Gli italiani si disfano di enormi quantità di prodotti tessili ogni anno, ma una quota significativa finisce ancora nei canali di conferimento scorretti. È quanto emerge dalla prima edizione dell’Osservatorio Ipsos realizzato per conto di Erion Textiles – Consorzio dedicato alle aziende del settore tessile – che ha analizzato le abitudini degli italiani, rivelando un quadro complesso fatto di grandi volumi dismessi, comportamenti differenziati per territorio ed età e criticità strutturali nella gestione dei rifiuti tessili.
Lo studio rivela una dismissione diffusa e consistente: negli ultimi 12 mesi, 2 persone su 3 si sono disfatte di vestiti (66%), circa 6 su 10 di scarpe (57%) e 1 su 2 di stracci o tessuti danneggiati (51%). I vestiti rappresentano la categoria smaltita maggiormente: fra coloro che se ne sono disfatti negli ultimi 12 mesi, il 38% ha gettato via in media 7,6 capi a persona.
Dal punto di vista territoriale, emergono differenze significative: i cittadini del Nord Italia sono quelli che si liberano di più di vestiti e scarpe rispetto al resto dello stivale (69% e 60% rispettivamente), con una media di 8,4 capi contro i 6,4 del Sud.
L’usura come prima causa ma cresce il “non uso più”
La ragione principale per cui ci si disfa dei capi di abbigliamento è perché sono “danneggiati/consumati” (53% a livello nazionale). La seconda motivazione più comune è il “non li uso più” (39%), che sale al 42% nel Nord Italia, evidenziando un approccio più pragmatico legato al decluttering.
Particolarmente significativa la percentuale dei giovani (18-26 anni) che, per motivazioni legate alle tendenze, dichiara di disfarsi di un capo perché “fuori moda” (10% dei giovani vs 3% media Italia) oppure a causa di un “acquisto online non soddisfacente” (un altro 10% vs 3% media Italia).
Giovani: più corretti ma più consumisti
I giovani rappresentano un segmento contraddittorio, ma prevedibile: da un lato mostrano una maggiore attenzione alla correttezza del conferimento (le loro percentuali di errore sono quasi sempre inferiori alla media), dall’altro sono più influenzati dalle dinamiche delle tendenze della moda. Sono, paradossalmente, più bravi a gestire il sintomo (il rifiuto) ma maggiormente responsabili della causa (consumo effimero).
Inoltre, il Sud Italia tende a disfarsi di quantità inferiori di articoli e la motivazione è più legata all’usura effettiva del bene (54% butta perché “danneggiato”) piuttosto che al semplice inutilizzo, evidenziando un approccio più tradizionale e meno influenzato dal consumismo.
Il dilemma del tessile danneggiato
Un dato significativo emerso dall’analisi riguarda anche la gestione di stracci e capi danneggiati: una quota non trascurabile di questi viene ancora gettata nei contenitori per la raccolta indifferenziata.
La causa principale va ricercata nella comunicazione storicamente adottata per la raccolta degli abiti usati, che ha sempre richiesto – talvolta in modo molto esplicito – di conferire solo capi in buone condizioni. Questo approccio era necessario perché, in assenza della Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), l’intera filiera di gestione dei rifiuti tessili si è basata prevalentemente sul riutilizzo, sostenendosi grazie alla vendita degli indumenti recuperabili.
Di conseguenza, si è consolidata tra i cittadini la convinzione che solo i capi in buono stato vadano conferiti nei contenitori dedicati, mentre quelli danneggiati o gli stracci debbano essere smaltiti nell’indifferenziata.
Se quindi si escludono gli stracci e i prodotti danneggiati (45%), si riscontrano, a livello nazionale, le seguenti percentuali di conferimento scorretto: scarpe (25%), borse e cinture (23%), tessili per la casa (18%) e vestiti (11%).
In previsione dell’introduzione dell’EPR per il settore tessile, che si occuperà di far crescere le soluzioni per il riciclo dei capi non riutilizzabili, emerge un’ulteriore sfida futura per la comunicazione ai consumatori: modificare le attuali abitudini di conferimento degli oggetti danneggiati. Oggi, infatti, il cittadino non percepisce il tessuto rotto come una risorsa che potrà essere riciclata, ma come spazzatura irrecuperabile.
Considerazioni finali
Lo studio evidenzia come le diverse abitudini di consumo e dismissione richiedano approcci comunicativi specifici per area e generazione. Le differenze territoriali – dal pragmatismo del Nord, al consumo “fino in fondo” del Sud – suggeriscono la necessità di strategie di comunicazione mirate che tengano conto delle peculiarità e delle abitudini locali.
“La sfida che Erion Textiles ha di fronte si compone di due aspetti fondamentali” ha dichiarato Luca Campadello, Strategic Development & Innovation Manager di Erion “Da un lato la ricerca e l’implementazione di soluzioni di riciclo per gli abiti non riutilizzabili. Dall’altro, una comunicazione che parli linguaggi diversi a territori e generazioni differenti, ma con l’obiettivo comune di far comprendere che ogni tessuto, anche quello danneggiato, rappresenta una risorsa per il futuro.”