Transizione ecologica e occupazione, per FREE sarà “un bagno di sangue” per la disattenzione della politica

ll Presidente onorario del Coordinamento Rinnovabili, G.B. Zorzoli: "Dal nuovo Governo arrivano poche attenzioni per le rinnovabili e la transizione ecologica in generale, con una disattenzione anche e specialmente vero le imprese, tutte cose che sono in aperta contraddizione con le dichiarazioni del Presidente Meloni a Cop 27". Il caso di studio della mobilità nel convegno 'Le ricadute occupazionali della revisione delle politiche energetiche comunitarie'

«Dal nuovo Governo arrivano poche attenzioni per le rinnovabili e la transizione ecologica in generale, con una disattenzione anche e specialmente vero le imprese, tutte cose che sono in aperta contraddizione con le dichiarazioni del Presidente Meloni a Cop 27 dove ha affermato che il proprio Governo lavorerà per il pieno raggiungimento degli obiettivi europei al 2030», ha detto il Presidente del Coordinamento FREE in apertura del convegno “Le ricadute occupazionali della revisione delle politiche energetiche comunitarie“, che si è tenuto questa mattina a Key Energy. Durante il convegno è stata presentato dal Presidente onorario del Coordinamento, G.B. Zorzoli il risultato del gruppo di lavoro sulla mobilità sostenibile

«Si tratta di un caso di studio, quello della mobilità, che può essere sintomatico delle difficoltà che ha l’Italia circa la transizione ecologica, anche e soprattutto su una comunicazione che paventa il “bagno di sangue” sul fronte dell’occupazione. – ha esordito Zorzoli – Se si realizza il pacchetto Fit for 55 si dovrà arrivare al 72% di elettricità da rinnovabili e in questo quadro si creeranno posti di lavoro, ma si dovranno adottare politiche specifiche per le filiere più problematiche come quella dell’automotive, anche per non “subire” le decisioni delle case automobilistiche che stanno agendo già ora. La riduzione delle emissioni del 55% per le autovetture e del 50% per i furgoni al 2030, anticipa a livello industriale, infatti, il phase out dell’endotermico fissato al 2035. Se a ciò aggiungiamo che sull’elettrico sono stati decisi investimenti al livello mondiale per 1,3 trilioni di dollari è chiaro che l’industria ha già deciso e che produrre endotermici a breve non sarà più conveniente». 

«Si può decidere se essere protagonisti, oppure attori passivi e ciò dipenderà dalle politiche d’incentivazione per i veicoli elettrici, che devono essere simili a quelle he fecero decollare il fotovoltaico. – ha proseguito Zorzoli – Si tratta di una logica che stanno adottando tutti i paesi europei a parte l’Italia. Un solo esempio. Il nostro paese è l’unico che non possiede un Piano Auto e ciò la dice lunga. Per arrivare agli obiettivi del Fit for 55, bisogna aggiungere ai 6 milioni di veicoli elettrici (50% puri e 50% ibridi) previsti nel vecchio Pniec, altri 1,5 milioni di auto elettriche e oltre a ciò è necessario ridurre il parco circolante che in Italia è il più vasto, a livello procapite, con 39 milioni di autovetture circolanti. I fatti però non vanno in questa direzione. Sulle colonnine di ricarica c’è una grande disparità tra nord e sud, e anche al nord dove c’è una maggiore concentrazione, osserviamo che sono poche quelle a ricarica veloce necessaria per i lunghi viaggi. Si direbbe che si sia puntato solo sulla mobilità elettrica urbana e ciò rappresenta un problema per un paese come l’Italia».

«Sul piano della manifattura della componentistica per l’auto elettrica poi abbiamo il problema che il 38% delle aziende attive nella subfornitura sono a gestione padronale e si tratta d’imprese che hanno difficoltà ad accedere al credito e all’innovazione necessari per il passaggio all’elettrico. – conclude Zorzoli – L’unica possibilità per salvare queste imprese è il mettere in campo politiche industriali che consentano l’aggregazione, affinchè si sviluppino realtà di grandi dimensioni in grado di competere sia sui mercati, sia sul piano dell’innovazione. E per fare ciò serve, come abbiamo detto, il Piano Auto che a oggi non abbiamo, in assenza del quale si mettono sul serio a rischio ben 200 mila addetti, con gravi ripercussioni sociali». 

«Le nostre osservazioni sul settore automotive riflettono ciò che a succedendo anche in molti altri settori e ciò che vediamo è l’assenza di una visione strategica industriale sulla transizione ecologica, nel quale si coniughino politiche industriali, innovazione e formazione. – conclude Livio de Santoli – Continuando così il sistema paese perderà posizioni, con risvolti economici e sociali che potranno diventare drammatici. E non si vede all’orizzonte una vera volontà politica per evitare ciò».