Vicenza, sentenza sul caso PFAS, riconosciuto il legame tra esposizione e decesso

Per la prima volta un tribunale italiano riconosce il nesso causale tra l’esposizione professionale ai composti perfluoroalchilici e la morte di un lavoratore. La decisione apre un nuovo capitolo sul fronte della giustizia ambientale, solleva interrogativi sulla gestione nazionale del problema e richiama l’urgenza di un intervento normativo più incisivo

Decreto Pfas al vaglio del Senato Vicenza PFAS

Il Tribunale civile di Vicenza ha emesso una sentenza che per la prima volta in Italia riconosce un decesso come direttamente collegato all’esposizione ai PFAS sul luogo di lavoro. Il caso riguarda Pasqualino Zenere, ex dipendente dello stabilimento chimico Miteni a Trissino, impiegato tra il 1978 e il 1992. Secondo la decisione, il lavoratore è deceduto in seguito al contatto prolungato con PFOA e PFOS, sostanze appartenenti alla famiglia dei composti poli- e perfluoroalchilici.

La posizione di Greenpeace Italia

Attraverso un comunicato diffuso dopo la sentenza, Greenpeace Italia ha definito la decisione un precedente importante per il riconoscimento dei danni sanitari provocati da queste sostanze.

“La decisione del Tribunale di Vicenza – ha dichiarato Alessandro Giannì, direttore delle campagne dell’organizzazione – rappresenta un passo rilevante sul piano della giustizia ambientale per chi è morto a causa del contatto con i PFAS, sostanze un tempo considerate miracoli tecnologici e oggi note come inquinanti eterni”.

Nel comunicato, l’associazione ambientalista sottolinea che milioni di persone in Italia continuano a essere esposte, a diversi livelli, a queste sostanze. Greenpeace richiama inoltre l’attenzione sulla proposta in discussione a Bruxelles per un bando progressivo dei PFAS, domandando quale sia la posizione del governo italiano in merito.

Le evidenze scientifiche richiamate

Nel documento diffuso alla stampa, Greenpeace riporta che i PFAS sono una vasta classe di sostanze chimiche di sintesi, delle quali solo una parte è stata sottoposta a studi approfonditi. In particolare:

  • il PFOA (acido perfluoroottanoico) è stato classificato come cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC);
  • il PFOS (acido perfluoroottansulfonico) è considerato probabilmente cancerogeno.

Secondo quanto riportato dall’associazione, l’esposizione a questi composti è associata a una serie di effetti avversi sulla salute, tra cui alterazioni della tiroide, diabete, danni epatici e al sistema immunitario, tumori al rene e ai testicoli, e problemi di fertilità. Greenpeace segnala inoltre rischi per la salute prenatale, documentati in studi recenti.

A causa della loro resistenza alla degradazione, i PFAS sono definiti inquinanti persistenti, in grado di contaminare acque potabili, suolo e catene alimentari.

Il quadro normativo italiano ed europeo

Il comunicato stampa fa riferimento anche al recente Decreto Legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo 2025, attualmente all’esame del Parlamento. Il provvedimento stabilisce nuovi limiti per la presenza di PFAS nelle acque potabili e introduce soglie anche per il TFA (acido trifluoroacetico), finora privo di regolamentazione.

Secondo Greenpeace, il decreto costituisce un primo passo, ma richiede modifiche sostanziali per garantire un’effettiva tutela della salute pubblica. In particolare, l’organizzazione auspica che le forze politiche riescano a trovare un accordo per abbassare i limiti consentiti, avvicinandoli al cosiddetto “zero tecnico”.

La nota conclude affermando che intervenire sulla qualità dell’acqua è solo una misura iniziale e che sarà necessario introdurre una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione dei PFAS. Greenpeace ha annunciato che continuerà la propria attività di monitoraggio e pressione pubblica per ottenere maggiori tutele ambientali e sanitarie.

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