Il giro d’affari legato alle agromafie ha raggiunto i 25,2 miliardi di euro, segnando un netto incremento rispetto a poco più di dieci anni fa. Dopo la battuta d’arresto causata dalla pandemia, le attività illecite nel settore agroalimentare hanno rapidamente recuperato terreno, espandendosi in settori sempre più diversificati. Tra questi figurano il caporalato, la contraffazione e adulterazione di prodotti, il controllo delle reti logistiche, l’acquisizione indebita di terreni e fondi pubblici, oltre a fenomeni come l’usura, i furti e i crimini informatici. A dirlo è l’Ottavo Rapporto Agromafie di Eurispes, Coldiretti e l’Osservatorio sulla criminalità in agricoltura.
Presentato lo scorso 20 maggio presso il Centro Congressi Palazzo Rospigliosi di Roma (sede di Coldiretti), il nuovo rapporto evidenzia come le organizzazioni criminali hanno intensificato le loro attività, approfittando anche delle pieghe burocratiche per promuovere il credito usurario, l’acquisizione di aziende agricole e il riciclaggio di capitali. In questo contesto, molti imprenditori si trovano esposti a intimidazioni e pressioni per cedere terreni o attività, anche a causa delle difficoltà economiche derivanti dall’instabilità geopolitica e dall’aumento dei costi di produzione che, negli ultimi anni, hanno messo in crisi numerose realtà del settore.
L’obiettivo principale sono i fondi pubblici e il controllo di mercati e appalti, con l’aiuto di professionisti compiacenti e documenti falsi. Ma – spiega il Rapporto – le infiltrazioni si estendono a ristorazione, mercati ortofrutticoli e grande distribuzione, senza risparmiare vere e proprie frodi alimentari, con prodotti adulterati o senza etichetta, spesso venduti nei discount. I settori più colpiti sono vino, olio, mangimi e riso, usando agrofarmaci vietati e false certificazioni bio da importazioni dell’Est Europa. Un capitolo a parte è poi rappresentato dal dilagare dell’Italian Sounding (richiamo a prodotti italiani seppur esteri) e delle frodi sul packaging.
Le dichiarazioni dei promotori
La filiera agroalimentare italiana si trova sotto pressione, stretta tra gli effetti della crisi internazionale e l’impatto crescente dei cambiamenti climatici. A dirlo è Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes, che evidenzia come il sistema sia sempre più sbilanciato a favore della distribuzione, lasciando i produttori in una posizione di crescente difficoltà. “Molte aziende agricole – spiega Fara – pur operando all’interno del successo del Made in Italy, faticano a sostenere l’aumento dei costi, la riduzione delle rese, i prezzi imposti dalla grande distribuzione (Gdo) e la difficoltà di accesso al credito”. In questo scenario di vulnerabilità, le organizzazioni mafiose trovano terreno fertile: forti di ingenti disponibilità economiche, intervengono offrendo prestiti a tassi usurari o acquisendo direttamente aziende in crisi. Si tratta, prosegue Fara, di una strategia che ricorda il land grabbing (accaparramento di terre) e che mira al controllo diretto della terra alla “produzione primaria, , ampliando il controllo lungo tutta la filiera: dalla produzione ai fondi pubblici, fino alla manodopera sfruttata”.
“Per Coldiretti la filiera agroalimentare parte dal lavoratore agricolo e arriva al consumatore: difenderla dalle mafie significa anche garantire il giusto prezzo lungo tutto il percorso» afferma il Segretario generale Coldiretti Vincenzo Gesmundo. Il rischio, avverte, è che a pagare i prezzi stracciati praticati da alcuni settori della Gdo e dell’industria siano “quasi sempre gli agricoltori e i lavoratori agricoli”. Dopo anni di attesa, Gesmundo riconosce all’attuale Governo il merito di aver dato seguito alla proposta di legge contro le agromafie elaborata dal procuratore Caselli. “Chiediamo ora che il Parlamento proceda a una rapida approvazione definitiva, superando le resistenze trasversali che arrivano da pezzi della grande industria in mano alle multinazionali e da segmenti della Gdo”.
Le agromafie mirano oggi alla filiera agroalimentare allargata, che ha raggiunto un valore record di 620 miliardi di euro e un export da 69,1 miliardi. “Coldiretti è da sempre in prima linea contro le agromafie”, dichiara il presidente nazionale Coldiretti Ettore Prandini, ricordando che l’organizzazione è stata “la prima e unica a sostenere con forza la legge sul caporalato”. Il fenomeno, avverte, ha una dimensione globale, “dal caporalato transnazionale allo sfruttamento dei bambini», e va affrontato anche «con accordi internazionali basati sul principio di reciprocità”. Prandini invita infine l’Europa a “puntare l’attenzione su questi fenomeni utilizzando il modello di controlli e contrasto come quello italiano”.
La presentazione del nuovo Rapporto sulle agromafie, infatti, coincide con l’approvazione di un disegno di legge, promosso dal ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che inserisce nel Codice penale un nuovo titolo dedicato ai reati contro il patrimonio agroalimentare, ispirato alla “Legge Caselli”. Tra le principali novità ci sono il riconoscimento del reato di frode alimentare, che punisce le pratiche ingannevoli nella produzione e vendita degli alimenti, soprattutto quando compromettono qualità, quantità o origine, e il reato di commercio con segni mendaci, volto a contrastare le false etichettature. Viene inoltre previsto il reato di agropirateria per combattere le frodi organizzate su larga scala. La normativa rafforza le tutele per le denominazioni Dop e Igp, consente di destinare a scopi assistenziali gli alimenti sequestrati e introduce sanzioni commisurate al fatturato delle imprese, garantendo così maggiore equità.
Il Rapporto in sintesi
Il nuovo Rapporto Eurispes-Coldiretti 2025 fotografa un settore agroalimentare italiano in forte espansione, ma sempre più esposto alle infiltrazioni criminali. La filiera allargata, che include anche ristorazione e GDO, ha raggiunto un valore record di 620 miliardi di euro, in crescita del 15% rispetto al 2021. Anche l’export agroalimentare tocca un massimo storico: 69,1 miliardi di euro nel 2024, +87% rispetto al 2015.
Parallelamente, però, cresce anche il business delle agromafie, che ha raggiunto i 25,2 miliardi di euro, raddoppiando dal 2011, quando era stimato in 12,5 miliardi. Dopo una lieve flessione nel 2021 (23,5 miliardi) per via della pandemia, il fenomeno ha ripreso forza, estendendosi a tutta la filiera: dalla produzione primaria alla distribuzione, passando per logistica, trasporti e ristorazione.
A rendere il settore vulnerabile sono soprattutto le crisi degli ultimi anni. Il conflitto in Ucraina ha causato un incremento del 66% nei costi energetici, del 49% per i fertilizzanti, dell’11% per i mangimi e dell’8% per i fitosanitari. Il prezzo del mais, fondamentale per la zootecnia, è salito del 12% rispetto al 2019. A fronte di questi rincari, molte aziende agricole hanno lavorato in perdita o chiuso, mentre oltre 5,6 milioni di persone vivono oggi in povertà assoluta in Italia.
Un altro squilibrio riguarda la distribuzione del valore lungo la filiera: su 100 euro spesi dai consumatori per prodotti agricoli freschi, meno di 20 euro vanno agli agricoltori. Per i prodotti trasformati, l’utile dell’agricoltore scende a 1,5 euro, mentre il commercio e il trasporto ne incassano 13,1 euro.
Le agromafie approfittano di questa fragilità: offrono prestiti usurari, rilevano aziende in crisi, e puntano sempre più direttamente alla terra e alla produzione primaria. Un modello simile al land grabbing, favorito anche dalla diminuzione dei prestiti bancari al settore agricolo, passati da 44,3 miliardi nel 2015 a 40,4 miliardi nel 2022.
Il rapporto evidenzia anche la crescita del caporalato transnazionale, con manodopera reclutata da paesi come India e Bangladesh, sfruttata al di fuori di ogni regola. In Puglia, ad esempio, i lavoratori non comunitari sono passati da 1.189 nel 2010 a 7.786 nel 2022. Nelle campagne del Nord, invece, proliferano le “imprese senza terra”, finte cooperative che aggirano obblighi contrattuali e previdenziali, pagando salari ridotti fino al 40% in meno rispetto ai contratti.
Altro fronte critico è il fenomeno dell’Italian sounding, che vale ben 120 miliardi di euro, quasi il doppio dell’intero export agroalimentare italiano. Coldiretti chiede normative più severe per garantire trasparenza sulla tracciabilità delle materie prime e impedire che prodotti stranieri vengano venduti come italiani.
Infine, il cybercrime si affaccia con forza anche nel settore: attraverso criptovalute e money transfer illegali, le mafie riciclano denaro sporco investendo in ristoranti, supermercati e attività logistiche, approfittando della vulnerabilità digitale delle piccole imprese agricole.
A livello territoriale, 36 province italiane superano la media nazionale per incidenza delle agromafie. Le più colpite sono Reggio Calabria, Palermo, Foggia, Caltanissetta, Salerno e Lecce, ma anche il Nord mostra segnali preoccupanti: Venezia è al 17° posto per presenza mafiosa nella filiera, e diverse aree di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna risultano altamente permeabili secondo l’Indice IPA.