Sempre più spesso in giro per l’Italia e nel mondo spuntano eventi di riparazione collettiva. Se fino al qualche anno fa poteva sembrare una moda passeggera, oggi è un vero movimento che fa del diritto alla riparazione la sua bandiera.
Sono tanti i soggetti più o meno organizzati, anche a livello internazionale, che portano avanti attività e progetti che mettono al centro il riuso. Possono chiamarsi restarter, fixer o riparatori la sostanza non cambia, per loro riparare e aggiustare gli oggetti è un modo per contribuire a raggiungere uno dei più importanti obiettivi che la nostra società si è data: ridurre i rifiuti.
Per capire meglio come sono nate e si sono sviluppate queste pratiche abbiamo intervistato Anna Rita Guarducci e Michele Giommini del Coordinamento Rifiuti Zero Umbria, che nella loro regione (ma non solo) sono diventati un punto di riferimento con il Repair Cafe Perugia.
Come nasce l’idea di avviare un Repair Cafè?
(Anna Rita Guarducci) Come Coordinamento Rifiuti Zero Umbria fin dalla nostra nascita nel 2012 abbiamo realizzato e promosso attività che mettevano al centro la riduzione dei rifiuti ma per tanti anni queste attività non incontravano il favore delle amministrazioni, di qualsiasi colore politico. Avevamo l’impressione di essere un impiccio.
Nel 2017 Michele Giommini mi disse “guarda c’è questa iniziativa a Orvieto, il Repair cafe”, e così siamo andati a vederlo. Era gennaio e ad aprile abbiamo fatto la prima sessione a Perugia. Da quel momento è diventato quasi un lavoro.
Per realizzare il primo Repair Cafe abbiamo praticamente rapito l’unico riparatore che conoscevamo, che era di Orvieto, e l’abbiamo costretto a venire a Perugia, un’ora di strada. Dopodiché però, a forza di vedere le nostre foto pubblicate sulla nostra unica pagina social, gli articoli di giornale della stampa locale e il passaparola tanti altri riparatori si sono avvicinati, e adesso siamo in una chat con quattordici tra operativi e riparatori, e anche persone che vivono fuori dalla città di Perugia.
Attualmente operiamo quasi esclusivamente nel perugino, anche se in questi anni siamo andati un po’ in giro per l’Italia per aiutare ad aprire i primi Repair cafe. Soprattutto i primi anni, quando esperienze simili erano davvero rare, ci chiamavano dal Trentino Alto Adige, dal Friuli, dalle vicine Marche e anche dalla Sicilia. E noi ovviamente ci prestavamo per raccontare la nostra esperienza e aiutarli ad avviare questa progettualità. Anche oggi, a distanza di anni riusciamo a supportare chi vuole creare un nuovo Repair cafe.
Noi siamo stati operativamente un esempio di come si previene la produzione di rifiuti, perché con la riparazione si fa prevenzione, si riduce la quantità di rifiuti, che è il primo punto della buona gestione come scritto anche nella legge nazionale, ma di cui nessuno si cura veramente.

In questi otto anni di Repair Cafe quale è stato l’oggetto più strano che avete riparato?
(Michele Giommini) L’oggetto più eclatante è stato un tapis roulant, ma non sono mancati i monopattini elettrici, le auto elettriche telecomandate per bambini e ultimamente una cyclette. Capita spesso che le persone ci chiamino per proporci di andare a casa loro per riparare oggetti ed elettrodomestici. Non siamo ancora pronti per questo tipo di interventi però a Bruxelles i nostri amici riparatori lo fanno. Addirittura ci raccontano che i loro riparatori vengono letteralmente rapiti. Inizialmente vengono chiamati per riparare una lavatrice e poi vengon fuori altri lavoretti come la porta che non chiude bene, la presa elettrica da sistemare ecc ecc.
C’è tanta gente che cerca disperatamente qualcuno che ripari ancora al giorno d’oggi, visto che gli artigiani non ci sono più, non c’è più chi ripara e quindi quando vengono a sapere che ci siamo anche noi ci bombardano, ci chiamano al telefono chiedendoci la data e il luogo del prossimo Repair Cafè. Negli anni siamo stati itineranti, nel senso che non avendo una sede come associazione andavamo da chi ci invitava e ci adattavamo al luogo portando le nostre cassette degli attrezzi. Come si può ben immaginare il disagio era massimo, perché magari non ti porti tutto dietro e quel giorno serviva proprio quell’attrezzo che non hai portato.
Dal 2022 una cooperativa sociale di Ponte San Giovanni ci ha invitato a usare una parte della propria sede e questo ha permesso anche la realizzazione di piccoli laboratori per piccole riparazioni elettriche e anche laboratori di cucito, insegnando a utilizzare la macchina da cucire per piccole cose fatte in casa. In pochi anni i laboratori sono stati un vero successo, c’è addirittura una lista d’attesa di chi vuole imparare a fare piccole riparazioni.
Dimenticavo. Il prossimo Rapai Cafe, e l’ultimo della stagione, sarà il 22 giugno e fa parte di un ciclo di dieci appuntamenti cominciati a febbraio e promossi grazie al contributo della Fondazione Perugia.
Ritornando alla domanda vorrei precisare che noi teniamo traccia di tutti gli oggetti riparati e stiliamo delle classifiche. Al momento gli oggetti più riparati in assoluto sono gli impianti stereo portatili e compatti, quelli che usavano qualche annetto fa. Al secondo posto ci sono gli asciugacapelli e a seguire piccoli elettrodomestici come i mini pinner.
Quindi da un appuntamento spot di sensibilizzazione siete arrivati a creare dei veri e propri laboratori di riparazioni. Che tipo di persone frequentano questi laboratori?
(A. G.) Davvero le più disparate, non c’è un utente tipo. Uomini, donne, giovani e meno giovani. Addirittura dei genitori hanno portato i propri figli per imparare a utilizzare una macchina da cucire, perché comunque nella vita può sempre servire. Saper usare nel modo giusto gli strumenti che abbiamo in casa per aggiustare e riparare qualcosa è un valore aggiunto.
Pian piano ci siamo accorti che la riparazione può avere anche un risvolto inclusivo. Ad esempio il nostro ultimo corso del cucito è stato frequentato da una ragazza con la sindrome di Down che è stata molto contenta di partecipare alle attività e si è dimostrata molto attiva a maneggiare le macchine da cucito. Altro esempio è quello di un ragazzo, inviatoci da un assistente ASL che si occupa di soggetti fragili e con difficoltà psichiche, che non si perde nemmeno un Repair Cafe e un laboratorio e oggi è diventato da un lato il punto di riferimento per le riparazioni della struttura in cui vive, e dall’altro un nostro prezioso collaboratore.
Qualche giorno fa avete donato due lampade al Comune di Perugia. Per caso in Municipio c’è carenza?
(M. G.) Ma no. Tutto è nato perché Federica, una nostra riparatrice, ha la passione per il riutilizzo. Cerca sempre oggetti a cui dare una nuova vita e così gli capitò di andare in un’officina meccanica dove trovò un tubo di scappamento, un fanale di un’auto, un disco di un freno e altri oggetti che sarebbero stati gettati. Dopo aver contattato Adriano, altro grande riparatore del nostro gruppo con un’esperienza infinita di riparazioni meccaniche, insieme hanno realizzato queste due lampade. L’idea iniziale era quella, attraverso un’asta, di racimolare qualche soldino per le nostra attività. L’asta non andò benissimo ma ha attirato l’interesse della sindaca di Perugia e dell’assessore alle politiche ambientali e così abbiamo finalizzato questa donazione. L’idea è piaciuta così tanto che durante la consegna ufficiale si sono presentati anche altri assessori, il nuovo presidente dell’Ater (l’ente che gestisce le case popolari in Umbria) e il nuovo presidente dell’Arpa Umbria. Una attenzione al tema che ci fa ben sperare per una nuova sensibilità politica in Umbria e a Perugia.

Ritorniamo sul tema del vostro impegno sociale. Ieri (18 giugno, ndr) siete finiti in carcere…
(M.G.) Eh, speriamo di non rimanerci. Scherzo. Nasce tutto da un ragionamento. Noi quando ripariamo spendiamo del tempo anche solo per cercare il guasto, se invece andassimo da un riparatore ufficiale la sola presa in carica dell’oggetto da riparare costerebbe dai 30 ai 40 euro e non è detto che poi la riparazione sia possibile. Molto probabilmente a quel prezzo non conviene nemmeno riparare l’oggetto perché più conveniente acquistarne uno nuovo.
A questo punto abbiamo cominciato a pensare che forse alcune persone avevano del tempo libero da poter dedicare e ci sono venuti in mente quelle persone che, per vari motivi, si trovano nelle case circondariali. Voglio precisare che per noi, che siamo fuori dal sistema carcerario, può essere facile associare il carcere a persone con tanto tempo libero, ma non è così. E non vorrei essere frainteso.
Abbiamo pensato che poteva essere utile provare a ridare una seconda opportunità ai detenuti e agli oggetti, provando a creare un progetto. Attraverso l’8×1000 della Chiesa valdese e Metodista e i patrocini del Comune di Perugia e quello di Paciano abbiamo avviato un progetto all’interno della Casa Circondariale di Capanne a Perugia, sia per le sezione femminile che per quella maschile.
In cosa consiste il progetto?
(A. G.) Saranno realizzati 8 incontri divisi equamente tra la sezione femminile e quella maschile. Il nome del progetto è Repair Cafe nel Carcere e affronteremo tre temi per concludere il percorso con una riparazione collettiva. Il primo tema affrontato sarà quello di conosce la cassetta degli attrezzi, perché molte volte capita di possedere degli attrezzi ma saperli usare è una cosa diversa. Il secondo tema ci porta alla realizzazione di un semplice circuito elettrico, sia con corrente continua che alternata, per far accendere una lampadina. Un modo questo per infondere alcuni principi di elettrotecnica di base per poi poter effettuare in autonomia piccole riparazioni elettriche. E per ultimo un nostro cavallo di battaglia che ci distingue in tutta Europa, ossia la riparazione delle plastiche. Insegneremo a capire quali oggetti in plastica è possibile riparare non solo con la fusione ma anche attraverso l’uso di alcuni collanti di tipo industriale facilmente reperibili.
Avete qualche sogno o progetto nel cassetto?
(M.G.) L’oggettoteca, ovvero la possibilità di avere degli oggetti, strumenti e attrezzature, che possono essere affittati dalle persone. Ti manca un trapano, una falciatrice, un martello? Puoi prenderlo in prestito per il tempo necessario. A Bologna è già una realtà. Ovviamente per fare questo tipo di attività abbiamo bisogno di una sede con ampi spazi per le attrezzature. E al momento rimane ancora un sogno ma mai dire mai.
Volete fare un appello per spronare i lettori a riparare?
“Prima di buttare proviamo a riparare” questo è il nostro slogan.