Dall’accordo di Parigi ad oggi le banche hanno finanziato i combustibili fossili 5.500 miliardi di dollari

Lo dice il Banking on Climate Chaos, il rapporto annuale promosso da centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui l'italiana ReCommon, che cura in dettaglio il massiccio sostegno delle banche all’industria fossile. La pubblicazione mostra come, nei sette anni trascorsi dall’adozione dell’Accordo di Parigi, le 60 maggiori banche private del mondo abbiano finanziato i combustibili fossili con 5.500 miliardi di dollari. Tra queste anche le due più grandi banche italiane, UniCredit e Intesa Sanpaolo

banche fossili

Pubblicato giovedì 13 aprile Banking on Climate Chaos, il rapporto annuale promosso da centinaia di organizzazioni della società civile, tra cui l’italiana ReCommon, che cura in dettaglio il massiccio sostegno delle banche all’industria fossile. La pubblicazione mostra come, nei sette anni trascorsi dall’adozione dell’Accordo di Parigi – il trattato internazionale che dovrebbe limitare il riscaldamento globale ad 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale – le sessanta maggiori banche private del mondo abbiano finanziato i combustibili fossili con 5.500 miliardi di dollari. Tra queste anche le due più grandi banche italiane, UniCredit e Intesa Sanpaolo, che dal 2016 hanno concesso all’industria fossile rispettivamente 43 e 22 miliardi di dollari in termini di prestiti e sottoscrizioni, risultando anche nella lista delle prime 40 banche a livello mondiale che finanziano le multinazionali coinvolte nell’espansione dell’industria dei combustibili fossili, tra cui Eni e Total.

Il documento è redatto a cura di Rainforest Action Network, BankTrack, Indigenous Environmental Network, Oil Change International, Reclaim Finance, Sierra Club e Urgewald.

“L’analisi mette in luce il greenwashing delle banche a fronte dei loro proclami per il clima”, sottolinea ReCommon. “Per la prima volta dal 2019, una banca canadese, la Royal Bank of Canada (RBC), si posiziona al primo posto tra i finanziatori dell’industria fossile, con una somma di 42,1 miliardi di dollari, spodestando la statunitense JP Morgan Chase, che resta la peggior banca fossile al mondo a partire dal 2016 assieme alle altre statunitensi Citi, Wells Fargo e Bank of America”.

Il rapporto mette inoltre in evidenza come il 2022 “sia stato un anno di lauti profitti per le società coinvolte nel business del gas naturale liquefatto (GNL) che, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, hanno approfittato della crescita della domanda per espandere la propria attività. Le prime 30 aziende che espandono il settore del GNL hanno utilizzato la crisi per assicurarsi quasi il 50% in più di finanziamenti nel 2022 rispetto al 2021. Tra i casi presentati c’è quello del Golfo del Messico, martoriato dall’espansione dell’industria del GNL, che vede Intesa Sanpaolo protagonista con copiosi finanziamenti a compagnie quali Cheniere, ExxonMobil e Freeport LNG”.

“Ci troviamo ogni anno a commentare questi finanziamenti che sono in costante aumento, nonostante l’urgenza della crisi climatica – il commento di Daniela Finamore, campaigner finanza e clima di ReCommon – Anche Intesa Sanpaolo e UniCredit, le principali banche italiane, sembrano ignorare gli allarmi della comunità scientifica continuando ad alimentare l’espansione dell’industria dei combustibili fossili e fiutando nuove opportunità di business, come nel caso del GNL. Nuovi affari e profitti a danno del clima e delle comunità maggiormente esposte agli impatti del cambiamento climatico”.