Ex Ilva, disposta confisca dell’area a caldo insieme a pesanti condanne per disastro ambientale

È arrivata la sentenza della Corte d'Assise di Taranto nel processo Ambiente Svenduto. Tra gli altri, sono stati condannati Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori del siderurgico di Taranto, rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione. Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro

Pesanti condanne e area a caldo del siderurgico confiscata, sono queste le principali novità della sentenza sull’ex Ilva accolte tra soddisfazione e incredulità da cittadini e attivisti. Lunedì 31 maggio la Corte d’Assise di Taranto ha condannato a 22 e 20 anni di reclusione Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori del siderurgico, tra i 47 imputati (44 persone e tre società) nel processo Ambiente Svenduto sull’inquinamento ambientale prodotto dallo stabilimento.

Rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. La pubblica accusa aveva chiesto 28 anni per Fabio Riva e 25 anni per Nicola Riva.

E’ stata inoltre disposta la confisca degli impianti dell’area a caldo che furono sottoposti a sequestro il 26 luglio 2012 e delle tre società Ilva spa, Riva fire e Riva Forni Elettrici.

Condannato a 17 anni e sei mesi l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti. 21 anni e 6 mesi di carcere per  l’ex responsabile delle relazione istituzionali Girolamo Archinà e  21 anni l’ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso. Sentenza di colpevolezza anche per Nichi Vendola, ex presidente della Regione Puglia, condannato a tre anni e mezzo, e per Gianni Florido, ex presidente della Provincia di Taranto, condannato a tre anni.

In presidio, tra gli altri, oltre al movimento ‘Giustizia per Taranto’ ci sono anche rappresentanti del movimento Tamburi Combattenti e delle associazioni che aderiscono al Comitato per la Salute e per l’Ambiente (Peacelink, Comitato Quartiere Tamburi, Donne e Futuro per Taranto Libera, Genitori Tarantini, LiberiAmo Taranto e Lovely Taranto). Sono circa mille le parti civili. Tra queste c’è il consigliere comunale Vincenzo Fornaro, ex allevatore che subì l’abbattimento di circa 600 ovini contaminati dalla diossina. “E’ il giorno – osserva – in cui si stabilirà dopo 13 anni chi ha ragione tra un manipolo di pazzi sognatori che continuano a immaginare un futuro diverso per questa città e chi resta industrialista convinto. Grazie a tutti quelli che in questi anni si sono battuti per arrivare a questo punto. Abbiamo fatto il massimo e continueremo a farlo”.

Di seguito un comunicato diffuso da Contramianto:

La lettura del disposito di sentenza della Corte di Assise di Taranto non lascia dubbi e l’elenco dei colpevoli e delle pene racconta decenni di siderurgia del territorio ionico e delle conseguenze che i ” veleni della fabbrica ” hanno avuto su lavoratori e cittadini morti e ammalati a causa delle esposizioni a cancerogeni e sostanze tossico nocive.

CONTRAMIANTO costituita parte civile nel Processo Penale ILVA Ambiente Svenduto ritiene la sentenza il punto da cui ripartire per dare giustizia e dignità alla popolazione di Taranto colpita da un inquinamento soffocante in un escalation di effetti con gravi danni anche mortali su uomini, donne e bambini.

Dopo 9 anni dall’atto di sequestro degli impianti ILVA e l’apertura del processo penale con centinaia di udienze e contrapposizioni in aula finalmente il giudizio che condanna coloro che hanno contribuito a quel disastro ambientale legato all’ILVA di Taranto, la fabbrica dell’acciaio più grande d’ Europa.

In questi anni sono stati ascoltati decine di testimoni che hanno descritto le condizioni in cui venivano svolte le attività industriali nel siderurgico tarantino ed acquisiti fascicoli e atti per decine di migliaia di pagine. Un confronto deciso tra gli avvocati dell’accusa e quelli della difesa nel quale si è ricostruito un lunghissimo periodo di storia industriale italiana, dagli inizi degli anni “90 sino al sequestro del 2012.

La sentenza di colpevolezza emessa riteniamo essere non un punto di arrivo ma il momento da cui ripartire per ricostruire la nostra storia una sentenza che possa dare risposte per le morti nella fabbrica e fuori dalla fabbrica facendo chiarezza su quello che è stato ma anche per sapere quello che potrà essere il futuro, un futuro che vogliamo sia più giusto per tutti.