Inceneritori: la Consulta boccia la legge regionale dell’Abruzzo che ne esclude la realizzazione

La Corte Costituzionale ritiene illegittima parte della legge sull'economia circolare, in cui si esprime la volontà di non realizzare inceneritori per i rifiuti urbani. La norma era stata impugnata dal Governo, per un presunta incompatibilità con la normativa nazionale, che la Consulta ha di fatto sancito. Viene invece ritenuta infondata l'impugnazione del Governo di un'altra parte della norma, in cui si prevede che l'impiantistica di smaltimento debba essere realizzata a debita distanza dai centri abitati e da funzioni sensibili

È destinata ad avere strascichi la sentenza della Corte Costituzionale, che ritiene illegittima parte della legge sull’economia circolare della Regione Abruzzo, in cui si esprime la volontà di non realizzare inceneritori per i rifiuti urbani. La norma era stata impugnata a marzo 2021 dal Governo Draghi appena insediatosi, per un presunta incompatibilità con la normativa nazionale, che la Corte ha di fatto sancito (sentenza n.191/2022 del 5 giugno scorso, depositata il 25 luglio).

La Consulta, presidente Giuliano Amato, relatore Franco Modugno, ha dato parzialmente ragione a Palazzo Chigi dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art.1, comma 4, della legge della Regione Abruzzo n.45 del 30 dicembre 2020, limitatamente alla parte in cui si ribadisce l’intenzione di non prevedere la realizzazione di impianti dedicati di incenerimento.

Si legge nella sentenza:

In particolare, sarebbe violato l’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, ai sensi del quale gli impianti di incenerimento dei rifiuti «costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale». Il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale da parte del d.lgs. n. 152 del 2006 (cod. ambiente), d’altro canto, non gli consentirebbe di prescrivere limiti generali siffatti: gli artt. 195, comma l, lettera f), e 196, comma l, lettere n) e o), riserverebbero, infatti, allo Stato «l’individuazione degli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse nazionale, che deve essere effettuata secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale». Inoltre, l’art. 199 cod. ambiente stabilirebbe che «la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela, può e deve avvenire soltanto nella sede procedimentale». La norma impugnata, pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittima, poiché esprimerebbe la volontà di non prevedere la realizzazione di impianti per l’incenerimento dei rifiuti urbani, in mancanza di qualsiasi tipo di valutazione istruttoria nella sede procedimentale (si cita la sentenza di questa Corte n. 142 del 2019).

La Corte ha ritenuto invece infondata l’impugnazione del Governo di un’altra parte della norma (art. 1, comma 9, lettera u), in cui si prevede che l’impiantistica di smaltimento debba essere realizzata a debita distanza dai centri abitati e da funzioni sensibili come scuole, asili nido, centri sportivi e di aggregazione, distretti sanitari, ospedali e case di riposo.

Successivi atti di pianificazione dovrebbero definire la misura delle distanze, come previsto dal codice dell’ambiente. 

“In quest’ultimo caso, abbiamo avuto ragione noi – ha detto l’assessore regionale Nicola Campitelli, il primo a dare notizia del pronunciamento – infatti la Corte Costituzionale ha ribadito che compete alle Regioni la definizione di criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti”.

 “La sentenza non ha certo cancellato le ragioni per le quali ci siamo battuti”, ha detto invece all’Ansa il segretario di Rifondazione Comunista e consigliere regionale, Maurizio Acerbo, memoria storica di tante battaglie ambientaliste. “Ricordo che in tutte le province ci siamo battuti per l’esclusione dai piani provinciali della previsione. Nel 2007 per fermare inceneritori ci inventammo con la legge regionale del 2007 il divieto espresso della combustione dei rifiuti sotto la soglia minima del 40% di riciclo (allora era al 28%). A livello regionale questo orientamento contro la realizzazione di inceneritori si affermò definitivamente quando l’inchiesta Re Mida della Procura di Pescara, ci diede ragione e costrinse la politica di centrodestra e centrosinistra ad accantonare definitivamente la proposta. La sentenza della Corte Costituzionale riguarda una questione di competenze ma la Regione Verde d’Europa – così un tempo si definiva l’Abruzzo – deve andare avanti sulla strada dell’economia circolare e può farlo”.