La bioplastica compostabile che non si composta. Colpa del prodotto o dell’impianto di compostaggio? Inchiesta/1

Continuano a rimbalzare sui giornali e nell’internet articoli che mettono all’indice le bioplastiche compostabili perché non si compostano. Proviamo a fare chiarezza e partiamo dai produttori

Dopo l’allarme degli scorsi giorni sui prodotti in bioplastica compostabile che non si compostano lanciato dai responsabili di Bioenergia Trentino e di Eco Center Bolzano sulle pagine de il “Trentino”. Siamo andati a indagare per capire come mai negli impianti del Trentino e dell’Alto Adige si stiano verificando questi problemi e nel resto d’Italia no.

Se una azienda lancia un allarme del genere è da prendere con estrema considerazione perché il rischio è quello di bloccare gli impianti di compostaggio che raccolgono tutto l’organico delle provincie autonome di Trento e Bolzano, un problema molto serio che può compromettere tutto il ciclo dei rifiuti di una delle zone più virtuose d’Italia.

Abbiamo provato a verificare se l’allarme delle aziende si sia trasformato in atti pratici di informazione e sensibilizzazione su comuni e cittadini. Come campioni abbiamo utilizzato la Val di Non e Merano e nessuno dalle amministrazioni comunali, dai ristoratori, dagli hotel fino ai semplici cittadini è stato informato e sensibilizzato sull’imminente invasione della bioplastica compostabile che non si composta.

Discorso a parte per la Città di Trento dove pare, ma siamo in attesa dei documenti da parte del comune, sia stata emanata una circolare che ribadisce di non conferire i sacchetti in bioplastica (non compostabili) all’interno della frazione umida.

Non convinti abbiamo contattato la Comunità della Val di Non, che di fatto si occupa della gestione dei rifiuti nella valle, e infatti la Bioenergia Trentino all’indomani dell’articolo ha incontrato la Comunità per parlare e informare di questo problema ma senza che ci sia stata una richiesta (anche forte) di bloccare questo “pericoloso” ingresso di prodotti in bioplastica compostabile all’interno dei bidoncini dell’umido. Ovviamente non ci aspettavamo che l’azienda chiedesse di modificare i regolamenti comunali sul conferimento dei rifiuti, che probabilmente non contemplano le bioplastiche compostabili, ma tradurre l’allarme in una campagna a tappeto di sensibilizzazione sì, visto che in ballo c’è il corretto funzionamento dell’impianto e una parte dell’interno ciclo dei rifiuti di tutta la provincia di Trento.

Se i produttori dei rifiuti organici (i cittadini) non sanno nulla di questo pericolo e per approfondire meglio la questione, proviamo a risalire la catena e capire come è possibile che dei prodotti certificati non si comportino come dovrebbero o se il problema non dipende dai prodotti ma bensì dagli impianti.

Partiamo dall’imputato numero uno: la bioplastica compostabile.

Abbiamo contattato Alzieri Marco di Eco Tecnologie che sviluppa e distribuisce stoviglie e packaging per alimenti in bioplastica compostbile.

A lei risulta che siano in distribuzione nel mercato italiano e in particolare nel settore alimentare prodotti in bioplastica non compostabile?

No.

Quindi tutti i prodotti per alimenti in bioplastiche sono compostabili?

Sì, o sono compostabili perché certificati o compostabili per dichiarazione indotta. Nel senso che le materie prime sono tutte compostabili e certificate come tali e i vari accoppiamenti non vanno ad alterare le certificazioni originarie.

Quindi se li butto nell’organico entro novanta giorni da quando entrano nell’impianto, in base alla certificazione Uni En 13432, dovrebbero compostarsi?

Sì. Un impianto di compostaggio ha un ciclo ben definito come la maturazione stessa del materiale. Gli impianti che non vogliono ritirare la bioplastiche compostabili perché dicono che il materiale non composta è perché lo vogliono fare in un tempo non consono.

Il materiale organico proprio, la buccia di banana per intenderci, magari in sessanta giorni assume un aspetto che potrebbe dare l’idea di essere un prodotto finito. Invece le bioplastiche compostabili non sono ancora completamente ‘sciolte’, quindi questo materiale organico non è comunque stabile e ha bisogno di finire la maturazione. E la sua maturazione la finisce in novanta giorni.

Quindi vuole dirmi che è un problema dell’impianto di compostaggio e non della bioplastica compostabile?

Sì, per quello che mi risulta. Nel senso che noi siamo a norma perché la Comunità europea dice che un prodotto in bioplastica per essere compostabile deve diventare concime in un arco di tempo che è definito dal ciclo del compostaggio industriale. Se il compostatori industriali di oggi pretendono di fare il compost in due terzi del tempo o addirittura in un terzo c’è qualcosa che no va.

In una intervista i responsabili di questi impianti dicono che in circa ventitrè giorni il compost è pronto…

Ventitrè giorni è il tempo che il materiale sta nel biodigestore per produrre gas, per loro poi rimane una alla al piede il materiale di risulta. Un impianto di compostaggio funziona così: ci vogliono almeno novanta giorni.

Se hanno travisato o qualcuno gli ha dato una licenza per fare una cosa così, secondo me e parlo a titolo personale, è un impianto che ha forti criticità.