Nel mondo, spinta dalla corsa senza precedenti di eolico e solare, la transizione energetica accelera. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), le rinnovabili scalzeranno il carbone dal primo posto nella produzione elettrica entro pochi anni, forse già nel 2025. In Italia, invece, il governo Meloni sceglie di guardare indietro, rimettendo in gioco il carbone, il combustibile fossile più dannoso per clima e ambiente.
La conferma è arrivata del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, intervenuto durante il question time in Parlamento: “Il Piano Nazionale Integrato per l’energia e il clima prevede per l’Italia la cessazione della produzione elettrica da carbone entro il 31 dicembre di quest’anno. Ancora una volta confermiamo questo impegno, prevedendo unicamente il posticipo del phase out del carbone al 2038“.
“Sarà quindi attuata una fermata a freddo delle centrali – continua il ministro – , finalizzata a garantire la sicurezza energetica nazionale, senza arrecare alcun pregiudizio all’ambiente, in linea con quanto già adottato da altri Paesi europei”.
“Come ministero – aggiunge Urso – siamo impegnati a portare a conclusione la fase di analisi delle manifestazioni di interesse per gli impianti di Cerano (Brindisi), che ha ricevuto 46 proposte, e di Torre Valdaliga Nord (Civitavecchia), con 28 proposte pervenute. Un lavoro svolto con il supporto tecnico di Invitalia, con l’obiettivo di definire, in accordo con gli enti locali, due distinti accordi di programma per concludere al più presto il percorso già tracciato volto al rilancio delle attività produttive di entrambi gli stabilimenti”.
La decisione è il frutto di un ordine del giorno presentato da Forza Italia e Azione che il Governo ha fatto proprio inserendolo nel decreto ex Ilva (n. 92/2025). Il risultato: la dismissione delle centrali a carbone, prevista per quest’anno da una decisione presa nel 2017, slitta di tredici anni.