Attraverso una nota ufficiale diffusa al termine dell’udienza, Legambiente ha commentato la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Vicenza, che ha condannato i vertici delle aziende che hanno gestito il sito Miteni di Trissino per il grave inquinamento da PFAS che ha interessato un vasto territorio tra le province di Vicenza, Verona e Padova.
La contaminazione ambientale, si legge nel comunicato, ha compromesso per decenni la seconda falda acquifera d’Europa, coinvolgendo più di 300.000 cittadini e un’area di oltre 180 chilometri quadrati, comprendente anche numerosi corsi d’acqua superficiali. Secondo Legambiente, la sentenza riconosce “la natura dolosa dei reati” e attribuisce in maniera chiara e documentata la responsabilità diretta della dispersione di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) alla gestione industriale del sito, attivo fino al 2018.
La nota richiama l’origine della vicenda giudiziaria, a partire dalla prima denuncia del 2014 promossa dal Circolo “Perla Blu” di Cologna Veneta, con l’assistenza dell’avvocato Enrico Varali, coordinatore regionale del Centro di Azione Giuridica di Legambiente. È grazie al lavoro svolto negli anni in sede legale e pubblica – precisa l’associazione – che si è giunti a una condanna in uno dei più significativi processi ambientali mai celebrati in Italia.
Secondo il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani e il presidente regionale Luigi Lazzaro, entrambi presenti in aula alla lettura del dispositivo, “la sentenza rappresenta un passaggio determinante nella battaglia per l’ecogiustizia“. I due esponenti hanno ribadito la necessità di procedere quanto prima alla bonifica del sito produttivo e di affrontare con urgenza il nodo delle falde inquinate, su cui – ricorda la nota – “non è ancora stato attivato alcun intervento concreto”.

Legambiente sottolinea inoltre che, secondo quanto emerso nel corso del processo, la dirigenza aziendale avrebbe omesso per lungo tempo di comunicare agli enti di controllo le prove della contaminazione, aggravando così l’entità dell’impatto ambientale e sanitario. L’inquinamento, evidenzia l’associazione, ha interessato non solo le acque sotterranee, ma anche i fiumi Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone e Adige, con ripercussioni sull’ecosistema e sull’economia agricola locale.
Un primo passo verso la bonifica del sito è stato compiuto con l’approvazione, da parte del Comune di Trissino, del documento di analisi del rischio, che dovrà portare alla stesura di un piano di bonifica entro sei mesi. Legambiente richiama però l’attenzione sulla necessità di estendere gli interventi al sistema idrico, attraverso azioni di disinquinamento delle falde, tuttora compromesse.
Nella nota, l’associazione richiama anche la responsabilità delle istituzioni nel prevenire nuovi episodi di contaminazione: “Occorre approvare al più presto le aree di salvaguardia per i punti di approvvigionamento idrico, come previsto dal decreto legislativo 152/2006″, dichiarano Ciafani e Lazzaro. “È necessario che Governo e Regione adottino misure per valutare l’impatto sanitario e ambientale sulla popolazione esposta e definire un piano organico per la gestione dell’emergenza PFAS”.
La nota di Legambiente si conclude sottolineando come la sentenza di Vicenza debba rappresentare un monito per il futuro: la protezione delle risorse idriche e la trasparenza nella gestione industriale devono diventare principi centrali delle politiche ambientali, affinché tragedie come quella di Trissino non si ripetano.