Nei giorni scorsi una dozzina di alti ufficiali europei e britannici in congedo hanno chiesto ai capi di Governo dell’UE, con una lettera aperta, di includere gli investimenti in energia rinnovabile nell’1,5% della nuova quota NATO per “infrastrutture critiche” (separata dal 3,5% di spesa “core” militare). La motivazione centrale è che la crisi climatica è un rischio per la sicurezza nazionale e ridurre la dipendenza da petrolio e gas stranieri, aumenta la resilienza economica e rende meno vulnerabili le reti energetiche, perché la generazione rinnovabile è più distribuita e quindi meno attaccabile. La richiesta punta a rafforzare deterrenza e sovranità energetica, allineando così la sicurezza e la transizione energetica.
In base a ciò sarebbe opportuno che l’Italia destini l’intero 1,5% del PIL previsto dal nuovo obiettivo NATO per infrastrutture critiche e preparazione civile agli investimenti in energia rinnovabile e a basse emissioni, inclusa l’efficienza energetica. È una scelta di sicurezza nazionale prima ancora che industriale che riduce la dipendenza dalle importazioni di gas e petrolio, attenua la vulnerabilità agli shock di prezzo e limita l’esposizione a minacce contro infrastrutture centrali. Una rete energetica più distribuita, con produzione locale e sistemi di accumulo, risponde meglio a crisi geopolitiche e a eventi estremi, garantendo continuità ai servizi essenziali come sanità, scuola, acqua, protezione civile e sicurezza. Allo stesso modo, l’efficienza energetica con la riduzione del fabbisogno di energia, riduce l’esposizione e gli investimenti addizionali necessari per nuova capacità e potenziamento reti.
«Per l’Italia l’ordine di grandezza è chiaro. Si tratta di un investimento annuo che si colloca a circa 33 miliardi di euro. Un programma di questa scala, inoltre, metterebbe in moto filiere nazionali in progettazione, cantieristica, componentistica, gestione e manutenzione, con effetti sul PIL e sull’occupazione qualificata. – afferma Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento FREE – Migliorerebbe la bilancia commerciale per la riduzione degli acquisti di combustibili fossili, stabilizzerebbe i costi dell’elettricità per l’industria e aprirebbe a rilocalizzazioni produttive energivore che cercano forniture stabili e a costo marginale basso. La destinazione della quota di resilienza a rinnovabili, accumuli, reti e digitalizzazione, efficienza negli usi pubblici critici, gestione della domanda e calore pulito costruisce il fulcro di una difesa civile moderna. Lo vediamo con gli ultimi sviluppi della guerra in Ucraina dove da alcune settimane sono diventati, da entrambe le parti, obiettivi principali i siti energetici centralizzati».
L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato come la concentrazione della generazione fossile e la dipendenza da forniture estere abbiano amplificato gli effetti economici della guerra in Ucraina, trasferendo sui bilanci di famiglie e imprese un costo imprevedibile dell’energia. Includere la transizione energetica nella quota di resilienza significa rafforzare la deterrenza anche e soprattutto attraverso un Paese più autonomo sul piano energetico e quindi meno soggetto a “ricatti” di carattere geopolitico.
«Questa opzione non sostituisce la finanza climatica legata alle rinnovabili ma la integra. – conclude Piattelli – Un’Italia che investe la quota dell’1,5% in energia pulita rafforza la sicurezza nazionale, tutela il tessuto produttivo e riduce trasferimenti di ricchezza a regimi che usano l’export fossile come leva geopolitica aggressiva. La transizione energetica, inserita nel capitolo della resilienza, diventa un’assicurazione di sistema a beneficio di cittadini, imprese e di tutta la nazione».











