“Tre sfumature di green (washing)”: così Harward boccia le aziende inquinanti

Secondo uno studio dell’Università americana, la comunicazione social di aziende di petrolio, gas, automotive e aviazione in Europa svia la crisi climatica e inganna gli utenti proponendosi come marchi sostenibili, innovativi e attenti alle cause sociali. Greenpeace: “Serve una legge europea per fermare la propaganda dei responsabili della crisi climatica”

Foto di Thomas Ulrich da Pixabay

Il greenwashing è sempre più presente nella comunicazione social delle grandi aziende di petrolio, gas, automotive e aviazione in Europa per promuovere falsi impegni green e distrarre l’attenzione del pubblico dalla crisi climatica. È quanto emerge dal nuovo studio dell’Università di Harvard commissionato da Greenpeace Olanda “Tre sfumature di green (washing), che analizza più di 2.300 post delle principali compagnie europee del settore fossile su Twitter, Instagram, Facebook, TikTok e YouTube.

Lo studio mostra come solo pochissimi post facciano esplicito riferimento alla crisi climatica, mentre due terzi dei post analizzati (il 67%) sono stati classificati come greenwashing dai ricercatori di Harvard. Un post su cinque si serve di temi come lo sport, la moda o cause sociali di varia natura per distogliere l’attenzione del pubblico dalle responsabilità climatiche delle aziende. Il settore automobilistico è il più attivo nella comunicazione sui social, ma appena un annuncio su cinque pubblicizza un prodotto, tutti gli altri servono solo a dare un tocco di verde al brand aziendale.

Geoffrey Supran, ricercatore associato presso il Dipartimento di Storia della Scienza dell’Università di Harvard e principale autore dello studio, ha dichiarato: «I social media sono la nuova frontiera dell’inganno e dei tentativi di ritardare gli interventi contro la crisi climatica. I nostri risultati mostrano che, mentre l’Europa stava vivendo l’estate più calda mai registrata, alcune delle aziende maggiormente responsabili del riscaldamento globale si sono ben guardate dal parlare di crisi climatica e hanno invece sfruttato i social media per posizionarsi strategicamente come marchi sostenibili, innovativi e attenti alle cause sociali».

Le aziende in questione – fra cui figurano anche ENI e alcuni marchi automobilistici italiani del gruppo Stellantis – restano fra i principali responsabili dell’emergenza che stiamo vivendo. Non solo per l’enorme quantità di emissioni di gas serra a loro riconducibili, ma anche perché continuano a puntare su modelli di business che aggravano la nostra dipendenza dal gas e dal petrolio, alimentando così l’emergenza ambientale, le guerre, i conflitti sociali e l’insicurezza energetica.

«La ricerca dell’Università di Harvard è l’ennesima conferma del pericolo che si nasconde dietro il greenwashing delle aziende fossili», dichiara Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia. «Finché non si metterà fine alla loro propaganda, le persone saranno esposte a messaggi fuorvianti sulla crisi climatica, che ha tra i principali responsabili proprio le aziende che investono nei combustibili fossili. Per questo motivo chiediamo una legge europea che metta fine una volta per tutte alla propaganda delle aziende inquinanti».

Per fermare il greenwashing delle aziende fossili, Greenpeace sostiene, insieme a più di trenta organizzazioni internazionali, una Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) per vietare le pubblicità e le sponsorizzazioni delle aziende legate ai combustibili fossili. Se entro ottobre la petizione “Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti” raggiungerà il traguardo di un milione di firme raccolte, la Commissione europea sarà obbligata a discutere una proposta di legge per mettere fine alla propaganda ingannevole delle aziende inquinanti che alimentano la crisi climatica.

Lo studio dell’Università di Harvard commissionato da Greenpeace Olanda “Tre sfumature di green(washing)” si può leggere (in inglese) QUI.

La petizione “Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti” si può firmare (fino al 4 ottobre) QUI.