Dietro lo spreco di cibo si nascondono oltre 4 miliardi di euro di costi energetici

L'Osservatorio Waste Watcher International ha stimato per la prima volta quanto incide a livello di costi energetici lo spreco alimentare domestico, evidenziando un aumento importante negli ultimi due anni: si è passati da un costo di 1,61 miliardi di euro del terzo trimestre del 2020 a 4,02 miliardi del terzo semestre del 2022, in gran riconducibili a perdite di frutta, che si conferma l’alimento più sprecato del pianeta

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Lo spreco alimentare, oltre a determinare a monte lo spreco di risorse naturali come il suolo e l’acqua utilizzate per produrre il cibo, comporta anche sprechi in termini di energia. L’Osservatorio Waste Watcher International ha stimato questi costi per la prima volta, evidenziando un aumento importante negli ultimi due anni: si è passati da un costo di 1,61 miliardi di euro nel terzo trimestre del 2020 ad uno di 4,02 miliardi nel terzo semestre del 2022, in gran riconducibili a perdite di frutta, che si conferma l’alimento più sprecato del pianeta.

Lo studio è stato realizzato in occasione della 3^ Giornata internazionale di consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari del 29 settembre e della Giornata mondiale del cibo, il World Food Day in calendario il prossimo 16 ottobre. In particolare per quanto riguarda il nostro paese, dalla ricerca risulta che ogni cittadino italiano getta in media 30,3 grammi di frutta alla settimana, segue l’insalata con una media di 26,4 grammi pro capite, e il pane fresco con 22,8 grammi.

Waste Watcher ha calcolato che vale ben 4,02 miliardi euro lo spreco di energia nascosta nel cibo sprecato nel 2021 solo nelle nostre case. Un costo che porta a circa 11 miliardi euro complessivi il valore dello spreco alimentare domestico in Italia, sulla base di un costo dell’energia elettrica pari a 0,4151 euro/kWh. Lo stesso spreco alimentare domestico, nel periodo equivalente del 2020, determinava una perdita economica a livello energetico di 1,61 miliardi euro. Ridurre lo spreco alimentare, perciò, determinerebbe una diminuzione non solo dell’impronta energetica ma anche degli impatti ambientali.

Leggendo il “Cross Country Report” emerge una correlazione tra la diminuzione dei consumi, l’impoverimento e l’inflazione alimentare e la diminuzione dello spreco. Tuttavia, questa correlazione non è lineare. In effetti, si evince che lo spreco alimentare aumenta in proporzione alla diminuzione dei consumi e della qualità dei prodotti alimentari. Questo fenomeno è dovuto principalmente al fatto che i prodotti alimentari deperiscono più rapidamente quando sono di scarsa qualità.

L’Italia è superata dagli Stati Uniti, con 39,3 grammi di frutta a testa, la Germania con 35,3 e il Regno Unito, che si attesta su uno spreco settimanale di 33,1 grammi a testa. Nella classifica degli alimenti più sprecati entrano anche latte e yogurt (38,1 grammi settimanali negli Stati Uniti, 27,1 in Germania), gli affettati e salumi (21,6 grammi in Francia, 14,2 grammi settimanali in Giappone), riso e cereali, che in Brasile si gettano per 27,2 grammi settimanali, e i cibi pronti, che i giapponesi sprecano in misura media di 11,5 grammi settimanali.

Il tema principale, quando si parla di sprechi alimentari, resta però quello della fame e della malnutrizione, che riguarda tutto il mondo, non solo le aree economicamente più povere e depresse. Un fenomeno che, dopo anni di calo e di politiche di sostegno, è tornato a crescere nel momento in cui le difficoltà dell’economia globale – tra pandemia, guerra in Ucraina ed inflazione – sono tornate ad acuirsi. “Nel mondo produciamo cibo a sufficienza per tutti, ma ci sono 800 milioni di persone, di cui una parte anche in Italia, che non hanno accesso al cibo, mentre la stragrande maggioranza della popolazione consuma cibo in eccesso, mangiando troppo e male”, ricorda ancora Andrea Segré. “I più poveri, inoltre, cercano il più basso costo possibile delle calorie, specie in un momento di impoverimento globale come quello che stiamo vivendo. Andare verso diete sane e sostenibili, ridare valore al cibo, sostenendo chi vive in povertà, o alle soglie della povertà alimentare, diventa fondamentale per superare questo periodo, ma per farlo il sistema alimentare globale va rivisto.

E se l’andamento economico è frutto di una contingenza di fattori, destinati prima o poi ad essere superati, la crisi climatica è un qualcosa di sistemico, con cui dover fare necessariamente i conti. “Sullo sfondo, abbiamo comunque un’intensificazione del global warming, un fenomeno non di oggi, a cui adattarci nel breve, medio e lungo periodo”, chiosa Andrea Segré. “Le colture, come le persone, si spostano, e sarà questa la grande sfida: pandemia e guerre passano e finiscono, ma il cambiamenti climatico andrà avanti”.