Distretti made in Italy per lanciare le rinnovabili. Lettera di quattro esperti a Mario Draghi

"Quadruplicare il fotovoltaico e più che raddoppiare l’eolico per rispettare gli obiettivi europei. Puntare sull’idrogeno verde come sistema di accumulo per stabilizzare il sistema elettrico e come motore per il trasporto pesante su grandi distanze. Rafforzare le smart grid per aumentare l’efficienza energetica e ampliare la gamma dei servizi". Sono alcune delle proposte avanzate al presidente del Consiglio da Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Vincenzo Naso e Gianni Silvestrini

Creare una rete di distretti industriali per le fonti rinnovabili in grado di attivare filiere di produzione italiane utilizzando le competenze delle università, dei centri di ricerca e dei laboratori presenti sul territorio. Quadruplicare il fotovoltaico e più che raddoppiare l’eolico entro il 2030 per rispettare gli obiettivi europei. Puntare sull’idrogeno verde come sistema di accumulo di lungo periodo per stabilizzare il sistema elettrico e come possibile motore per il trasporto pesante su grandi distanze. Rafforzare le smart grid per aumentare l’efficienza energetica e ampliare la gamma dei servizi offerti.

Sono alcune delle proposte avanzate, in una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi, da quattro esperti del settore – tre docenti universitari e il direttore scientifico del Kyoto Club – che già 40 anni fa avevano ipotizzato, quando sembrava un’eresia, lo scenario che oggi abbiamo davanti agli occhi: niente nucleare, stop al carbone, spazio al gas naturale come il meno inquinante dei combustibili fossili, forte sviluppo delle fonti rinnovabili. Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Vincenzo Naso e Gianni Silvestrini chiedono ora di “fare nuovi e diversi passi in avanti, convinti che la ‘rivoluzione energetica’, il cui inizio fu segnalato dal rapporto Saint-Geours alla CEE (1979), possa essere il cardine per ogni politica economica, industriale e sociale che voglia realizzare gli obiettivi di Next Generation EU. Si tratta di varare con urgenza le politiche contro quella che anche la presidente von der Leyen ha ricordato essere la minaccia più grande: il cambiamento climatico”.

Il trend in realtà è già segnato a livello internazionale dalle decisioni dell’Unione europea e dalle dinamiche di mercato. Per rispettare l’impegno assunto a Bruxelles (55% di riduzione delle emissioni serra al 2050) si dovranno coprire i fabbisogni elettrici italiani per oltre due terzi con fonti rinnovabili. Ma per arrivare a un sistema energetico bilanciato, con una quota consistente di fonti rinnovabili, un sistema di accumulo efficiente e la possibilità di generare idrogeno green per l’industria pesante occorre moltiplicare gli impianti. Cioè creare norme condivise, procedure agili, consenso e capacità di produzione industriale in modo da agganciare la spinta occupazionale a quella ambientale.

Da questo punto di vista sono interessanti le possibilità che si aprono con la creazione delle Comunità energetiche per generare elettricità green a chilometro zero e i 400 mila posti di lavoro previsti in Europa dall’European Solar Initiative per produrre i 20 gigawatt aggiuntivi di domanda solare annuale previsti.

Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi – secondo i quattro firmatari – bisogna concentrare gli sforzi sul rilancio delle rinnovabili e dell’efficienza evitando nuovi investimenti sul “gas naturale che ha assolto al suo compito nella lunga fase di transizione che abbiamo vissuto. Oggi la ‘necessità’ del suo utilizzo diventa un alibi per coloro che vogliono mantenere il Paese nell’economia e nella cultura ‘fossile’. Come sta facendo l’Eni in particolare con l’insistenza sul carbon capture and storage, a Ravenna, per produrre idrogeno dal metano invece che dalle rinnovabili”.

Frecciate anche ai nostalgici del nucleare. Quello da fusione è invecchiato nei decenni ed è ormai obsoleto: “Doveva riprodurre ‘il Sole sulla Terra’ per fornire una fonte inesauribile d’energia. Ma quella fonte ce l’abbiamo già ora: è il mix di rinnovabili che dà apporti sempre crescenti al fabbisogno energetico mondiale. E con prezzi che battono 10 a 1 il nucleare in costruzione”. Mentre quello da fissione fa ancora i conti, a dieci anni dall’incidente, con il disastro di Fukushima Daiichi, dove quattro reattori sono stati gravemente danneggiati dallo tsunami dell′11 marzo 2011. La messa in sicurezza delle 900 tonnellate di combustibile fuso nei tre reattori nei quali si è registrata la fusione del nocciolo è ancora un miraggio (le autorità parlano di almeno altri 30-40 anni) e ogni giorno continuano a essere prodotti 140 metri cubi di acqua radioattiva.

Articolo tratto da: Huffington Post