Riciclo Alluminio: Italia leader in Europa, rischi e opportunità nei nuovi scenari normativi

Questo è quanto emerso il 15 settembre a Roma durante la conferenza organizzata da CIAL, il Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio. Obiettivo dell'evento, rendere noti i risultati derivati dall’attività di recupero degli imballaggi di alluminio giunti al termine del loro ciclo di vita - provenienti dalla raccolta differenziata effettuata dai singoli Comuni – e mettere in luce l’efficacia e il virtuosismo del modello italiano, in atto dal 1997. L’Italia è esempio virtuoso per l’Europa: il 100% della produzione nazionale di alluminio proviene dal riciclo e al riciclo è avviato ben il 73,6% degli imballaggi in alluminio. A tutto vantaggio dell’ambiente e della sostenibilità

riciclo alluminio

Il 15 settembre a Roma, CIAL, il Consorzio Nazionale per il Riciclo degli Imballaggi in Alluminio, ha organizzato una conferenza dal titolo “Riciclo Alluminio: Italia in prima posizione in Europa. Sfide e prospettive nei nuovi contesti economici e normativi” Durante questo evento, sono stati presentati i risultati ottenuti attraverso il processo di riciclo degli imballaggi in alluminio al termine del loro ciclo di utilizzo. Questi imballaggi provengono dalla raccolta differenziata effettuata dai comuni italiani. La conferenza ha posto l’accento sull’efficacia e la sostenibilità del modello italiano, che è in vigore dal 1997.

L’incontro ha fornito anche l’occasione per presentare i risultati del recente dossier ‘Miniere Urbane’ condotto da Duccio Bianchi – studioso di politiche ambientali – che evidenzia per il prossimo futuro un deciso trend di crescita a livello globale dell’utilizzo di alluminio, sia primario sia da riciclo.

Roberta Niboli, past President di Assiral-Associazione dei raffinatori di Alluminio, ha inoltre evidenziato il contributo fornito dall’industria del settore di riferimento al processo di decarbonizzazione.

In Italia nel 2022 è stato avviato a riciclo il 73,6% degli imballaggi in alluminio immessi sul mercato (ovvero 60.200 tonnellate): un traguardo che ha già consentito di superare abbondantemente gli obiettivi comunitari fissati per il 2025 (50%) e il 2030 (60%).

L’efficienza del sistema italiano è ancor più evidente se si analizza lo spaccato del tasso di riciclo per le sole lattine in alluminio per bevande, pari al 91,6% per il 2022. Un risultato da record, in linea con quello dei paesi i cui sistemi sono basati sul deposito cauzionale e di gran lunga superiore al tasso medio di riciclo europeo del 73%.

“L’alluminio è il materiale condiviso per eccellenza – ha spiegato Giusi Carnimeo, Direttore Generale di CIAL – Ogni prodotto, al termine del suo ciclo di vita, si trova di fronte a due opzioni: può essere eliminato e smaltito, oppure, se possibile, può essere recuperato e successivamente riciclato o riutilizzato. Da questo punto di vista, l’alluminio è un materiale con caratteristiche straordinarie. È impiegato nella produzione di milioni di prodotti ed è completamente riciclabile, all’infinito. Infatti, è in grado di conservare le sue proprietà strutturali per sempre. È interessante notare che oltre il 75% di tutto l’alluminio prodotto è ancora in circolazione”.

CIAL ha sempre promosso un concetto avanzato di sostenibilità, basato sulla collaborazione attiva di tutti gli attori coinvolti nella catena, dalle imprese alla pubblica amministrazione, ai cittadini, affinché contribuiscano a raggiungere gli obiettivi più ambiziosi nei moderni modelli di produzione, consumo e riciclo. Questo rappresenta una questione di responsabilità circolare.

Il nostro Paese è un esempio particolarmente virtuoso in questo contesto: il 100% della produzione italiana di alluminio deriva dal riciclo. Dal punto di vista ambientale, questo è un risultato notevole. La produzione di alluminio da materiali riciclati comporta infatti un risparmio energetico del 95% rispetto alla produzione da materie prime vergini e contribuisce a evitare l’emissione di 423mila tonnellate di CO2.

Inoltre, grazie alla leggerezza del materiale, gli imballaggi in alluminio rappresentano solo lo 0,5% del peso totale degli imballaggi sul mercato. Questo corrisponde a 81.800 tonnellate, che includono lattine, vaschette, scatolette, bombolette, tubetti, fogli sottili, e altro, su un totale di oltre 14.500.000 tonnellate di imballaggi derivati dai sei principali materiali. Questo risultato è stato ottenuto grazie a un costante sviluppo nell’ottica di ridurre lo spessore e, di conseguenza, il peso degli imballaggi in alluminio nel corso degli ultimi 20 anni. A titolo di esempio, il peso di una lattina da 33 cl è diminuito da 14g nel 2000 a 12,2g attuali, rappresentando un calo del 12%. Questi grammi risparmiati, quando moltiplicati per i milioni di lattine prodotte ogni anno, si traducono in tonnellate risparmiate durante la fase di produzione, contribuendo così alla tutela dell’ambiente.

A novembre 2022 la Commissione Europea ha presentato una proposta di Regolamento, noto come PPWR (Packaging and Packaging Waste Regulation), che indica nuovi parametri operativi e nuovi obiettivi in tema di imballaggio e di smaltimento dei rifiuti da imballaggio. L’obiettivo è aumentare la circolarità dei prodotti puntando sul riutilizzo del packaging a scapito del riciclo.

“Pur condividendo la finalità di prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio, preoccupa che gli obiettivi di riutilizzo, in particolare quelli per alimenti e bevande, manchino di solide analisi scientifiche prodotto per prodotto. Riteniamo che l’approccio più equilibrato e adatto per ottimizzare la sostenibilità ambientale dell’uso degli imballaggi sia quello di consentire agli Stati membri di bilanciare caso per caso la scelta della migliore soluzione tra riutilizzo e/o riciclo preservando sia l’obiettivo principale del Regolamento sia la vocazione – anche infrastrutturale – del singolo Stato membro. Gli obiettivi del PPWR sono ovviamente condivisibili. Non è però una questione di finalità, ma di metodo. Il riciclo, alla base del nostro sistema nazionale di gestione dei rifiuti da ormai 25 anni, ha permesso che in Italia sia stato possibile raggiungere risultati eccellenti” conclude Giusi Carnimeo.

In Italia si privilegia il riciclo di qualità attraverso la raccolta differenziata che, da più di 25 anni, è estesa a tutte le tipologie di imballaggi in alluminio, non solo a quelle più redditizie e facili da raccogliere. È questa la differenza tra il cosiddetto “closing loop”, dove una singola tipologia di packaging viene raccolta in maniera selettiva e riciclata per ottenere lo stesso prodotto e il “metal to metal loop” che caratterizza il modello italiano e che prevede la raccolta e la massimizzazione del recupero di tutte le tipologie di imballaggi, e un (ri)utilizzo allargato dell’alluminio riciclato, senza limiti applicativi.

La proposta del Regolamento nella sua struttura attuale impone soluzioni che non tengono conto delle strade già percorse, spesso con ottimi risultati, dai singoli Stati. Nel caso dell’Italia, non solo l’intero sistema che coinvolge imprese, lavoratori e tecnologie è stato costruito con successo sul riciclo, ma è stato finora possibile raggiungere con anni di anticipo gli obiettivi di riciclo sui singoli materiali di imballaggio imposti dalle attuali normative europee emanate in forma direttiva.

Un “tesoro” per la transazione ecologica

Duccio Bianchi, consulente e ricercatore esperto in pianificazione ambientale e gestione dei rifiuti, nonché autore del dossier intitolato “Miniere Urbane” recentemente pubblicato, ha fatto una previsione. Egli anticipa che entro il 2030, la domanda globale di alluminio aumenterà di quasi il 40%, passando dagli attuali 86,2 milioni di tonnellate a 119,5 milioni di tonnellate. Questo aumento sarà in gran parte guidato dalla transizione ecologica. Ad esempio, nel settore automobilistico e nei trasporti in generale, la crescente elettrificazione comporterà un aumento nell’uso di componenti in alluminio. Allo stesso tempo, lo sviluppo dell’energia solare (i pannelli solari sono costituiti per l’88% da alluminio) porterà a una domanda aggiuntiva di alluminio di circa 10 milioni di tonnellate all’anno.

Lo studio di Bianchi sottolinea anche che in Europa il 79% dell’alluminio post-consumo viene già riciclato, un miglioramento significativo rispetto al 65% del 2005. Inoltre, gli scarti pre-consumo hanno un tasso di riciclo quasi totale. Tuttavia, è auspicabile un aumento del riciclo dell’alluminio su scala globale, anche per ragioni ambientali. È importante notare che la produzione di alluminio primario ha un notevole impatto ambientale. Mentre le emissioni di CO2 legate all’alluminio riciclato sono di soli 0,5 tonnellate per ogni tonnellata di alluminio, la media mondiale per la produzione primaria è di circa 17 tonnellate di CO2 per tonnellata di alluminio (ovvero 34 volte quella dell’alluminio riciclato). Questi dati evidenziano l’importanza di promuovere ulteriormente il riciclo dell’alluminio per ridurre l’impatto ambientale complessivo.

Italia leader nella produzione di alluminio da riciclo

Il nostro Paese è il primo produttore europeo di alluminio riciclato, sia per quantità di produzione sia in termini di rottame impiegato. Nel 2021 la produzione nazionale di alluminio secondario ha raggiunto i massimi storici, raggiungendo quota 954 mila tonnellate. Ma la strada è ancora migliorabile: incrementando la massa complessiva del materiale raccolto e riducendo le ‘perdite di materiale’. Conti alla mano, lo studio evidenzia infatti che, a fronte di una potenziale presenza di circa 167 mila tonnellate di alluminio nei rifiuti urbani, vi è una ‘perdita’ di alluminio – apparentemente non riciclato o recuperato – di circa 65 mila tonnellate, poco meno del 40% del totale.

È soprattutto sul versante ‘rifiuti ingombranti’ che esistono i maggiori spazi di miglioramento. “Basti pensare che dalla gestione dei rifiuti ingombranti, cui affluiscono circa 60 mila tonnellate di alluminio, si recuperano oggi meno di 1.500 tonnellate di alluminio a causa dell’assenza (o della impropria gestione) dei dispositivi di cattura dei metalli non ferrosi.” conclude Duccio Bianchi.

Il contributo dell’industria dell’alluminio alla decarbonizzazione – Per quanto concerne il settore dell’alluminio proveniente da raffinazione, l’Italia primeggia in Europa da oltre 10 anni (escluso il biennio 2017-2018). Ne produciamo ben 717 mila le tonnellate (contro le 473 mila della Germania e le 300 mila della Spagna). Questo il primo dato evidenziato da Roberta Niboli, Past President di Asssiral, Associazione Italiana Raffinatori Alluminio.

Dal punto di vista dell’ambiente il dato è importante, visto che l’alluminio da riciclo richiede il 95% di energia in meno rispetto all’alluminio primario da bauxite.

È quello dei trasporti, il principale settore di destinazione delle leghe di alluminio (70%) seguito dalla meccanica (12%), dall’elettromeccanica (8%) e dall’edilizia (7,5%). Con le ulteriori esigenze di alleggerimento, lo stimolo verso l’elettrificazione e l’aumento della quota di veicoli più grandi e di fascia alta, il contenuto di alluminio nei veicoli aumenterà nei prossimi anni. Così come aumenterà in tanti altri settori. È dunque evidente che il rottame di alluminio rappresenti una fondamentale banca energetica. Occorre limitarne l’esportazione proprio per evitare la perdita di una materia prima che può essere facilmente recuperata e riutilizzata per creare alluminio con un dispendio di energia molto inferiore rispetto alla produzione ex-novo. L’equazione è semplice: se esportiamo rottame perdiamo energia e anche materia prima disponibile per alimentare l’intera filiera manifatturiera europea.

“Se il fine del CBAM – Carbon Border Adjustment Mechanism (che prevede una tassa sul carbonio su alcuni prodotti importati) è quello di tutelare l’industria europea, c’è il rischio che l’Europa, avendo una forte dipendenza per l’alluminio primario da bauxiteda Paesi extra-Eu, si ritrovi a pagare costi aggiuntivi sull’import di materiale di cui comunque abbiamo bisogno. Sarà importante a livello europeo sia aumentare la percentuale di riciclo sia la possibilità di avere alluminio primario e le altre materie prime accessibili e a costi che permettano di competere a livello globale.” conclude Roberta Niboli.