Direttiva SUP. Bioplastica bandita? L’Europa conosce poco la filiera italiana dell’organico e della chimica verde

Eco dalle Città ha raccolto il commento di Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, dopo la pubblicazione delle linee guida della Commissione europea per l’applicazione della Direttiva UE 2019/904 sugli articoli monouso

“Già in fase di approvazione della legge di delegazione europea l’Italia ha voluto rimarcare la differenza tra bioplastica compostabile e plastica tradizionale. Auspichiamo che anche a livello europeo la messa al bando dei prodotti monouso non riguardi le plastiche compostabili”. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, commenta così le linee guida della Commissione europea per l’applicazione della Direttiva UE 2019/904 sugli articoli monouso.

“Ciò non vuol dire non puntare sulla riduzione del monouso che deve essere il primo obiettivo della direttiva e questo Legambiente lo ha sempre ribadito. Però – continua Zampetti – laddove non si possono eliminare i prodotti usa e getta, siamo convinti che la plastica compostabile possa essere assolutamente una valida alternativa. Questo elemento, che è inserito nel testo italiano ed è anche contenuto nella bozza di decreto legislativo a cui sta lavorando il MITE, purtroppo non è così presente a livello europeo nella direttiva, dove invece si rischia di mettere tutto insieme”.

“La stessa posizione Legambiente la assunse dieci anni fa in occasione della messa al bando dei sacchetti” ricorda il direttore generale dell’associazione. “In quel caso l’Italia fu la prima a distinguere tra plastica tradizionale e bioplastica. Si è visto dopo dieci anni quanto fu utile quella decisione per ridurre l’uso di plastica e dei sacchetti, mettendo in campo un prodotto che fa parte di una filiera importante italiana, che è quello della chimica verde. Sulla messa al bando dei sacchetti poi l’Europa ci ha dato ragione, speriamo che anche nel caso della direttiva SUP il nostro Paese possa fare da apripista”.

Come mai l’Europa non tiene in considerazione questo pilastro dell’economia verde italiana? “Dal nostro punto di vista ci sono due motivi. La filiera della bioplastiche è una filiera tipicamente italiana e quindi anche i prodotti e le conoscenze in questo ambito sono note nel nostro Paese ma sono poco conosciute a livello europeo. Il secondo motivo sta nel circuito di raccolta differenziata degli scarti organici. Anche in questo caso l’Italia è un Paese molto avanzato rispetto alla media europea. La filiera di raccolta differenziata e riciclo dei rifiuti organici è un’attività diffusa sul nostro territorio nazionale, ma lo stesso non accade a livello europeo. Pensiamo al primato mondiale di Milano come città che ha la raccolta dell’umido su tutto il territorio comunale”.

“Quindi – conclude Zampetti – senza avere la conoscenza della chiusura del ciclo dei prodotti compostabili e sull’organico, si evince anche poco quello che può essere il vantaggio di una filiera di questo tipo. Il nostro Paese quindi può e deve fare da apripista in questo settore. Per questo è necessario che l’Italia segni la differenza a livello europeo”.